Un avvocato sostiene che l’importo corrispostogli a titolo di “palmario” dal cliente non sarebbe da fatturare.
Il “palmario” costituisce una componente aggiuntiva del compenso, riconosciuta dal cliente al difensore in caso di esito favorevole della lite a titolo di premio o di emolumento straordinario per l’importanza e difficoltà della prestazione professionale e soggetta all’obbligo di fatturazione, la cui inosservanza ha rilevanza disciplinare.
La connotazione premiante del “palmario” non fa venire meno la sua natura di compenso: come tale, esso soggiace agli obblighi fiscali previsti dalla legge e al relativo obbligo di fatturazione.
Il codice deontologico forense richiama il dovere di adempimento fiscale, prevedendo, all’art. 16, che l’avvocato deve provvedere agli adempimenti fiscali previsti dalle norme in materia. L’art. 29, terzo comma, dello stesso codice fa obbligo all’avvocato di emettere il prescritto documento fiscale per ogni pagamento ricevuto. Rileva l’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972, in base al quale l’obbligo di fatturazione va assolto all’atto del pagamento del corrispettivo, quando, cioè, la prestazione professionale dell’avvocato si considera effettuata. Pertanto, l’avvocato ha l’obbligo di emettere fattura tempestivamente e contestualmente alla riscossione di ogni pagamento ricevuto, anche quando l’attribuzione patrimoniale effettuata in suo favore costituisca adempimento del “palmario” convenuto in sede di conferimento del mandato difensivo.
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