Con la sentenza n. 230 dell'8 gennaio 2020 la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che i dati, rinvenuti nell’elenco fornitori inviato dai clienti all’Agenzia delle Entrate, non costituiscono mere annotazioni, da cui presumere i ricavi del fornitore emittente le fatture, bensì corrispondono a fatture regolarmente registrate in corrispondenza di prestazioni di servizi ricevute o di beni acquistati dal soggetto emittente la corrispondente fattura, ragion per cui è legittimo il loro utilizzo per la ricostruzione del volume d’affari di quest’ultimo. Inoltre, con la medesima pronuncia, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che, ove a fronte dell’accertamento di ricavi non dichiarati, l’imputato lamenti la mancata deduzione dei costi ad essi inerenti, deve provarne l’esistenza (artt. 187 e 190, c.p.p.), o comunque allegare i dati dai quali l’esistenza di tali costi poteva essere desunta e dei quali il giudice non ha tenuto conto.
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