Circolare monografica
ANTIRICICLAGGIO

Decreto “Rilancio” e cessione dei crediti d’imposta: eventuali rischi di riciclaggio

Per i professionisti del settore è meglio attuare ulteriori accorgimenti alla profilazione della clientela

di Annalisa De Vivo, Massimiliano De Bonis | 16 Settembre 2020
Decreto “Rilancio” e cessione dei crediti d’imposta: eventuali rischi di riciclaggio

Con il decreto “Rilancio” (D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni in legge 17 luglio 2020, n. 77) viene estesa la possibilità di cessione di taluni crediti d’imposta a soggetti terzi. Se da un lato la spinta ai consumi incentivati è indiscutibilmente efficace, consentendo una “monetizzazione” più rapida dello sconto fiscale, dall’altro va valutato il rischio di un utilizzo improprio dello strumento, suscettibile di essere impiegato a scopo di riciclaggio.
Sul professionista ricade l’obbligo di tenere in debito conto tale ulteriore fattore di rischio nel processo di valutazione della clientela e nel controllo costante previsto dalla normativa antiriciclaggio.

Premessa

L’impianto normativo in materia di antiriciclaggio, che il legislatore europeo ha pazientemente congegnato nel corso dell’ultimo trentennio, e che il nostro ordinamento ha recepito con alterna scrupolosità, persegue l’obiettivo della prevenzione dei reati connessi alle ipotesi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

Nel ventaglio delle disposizioni ivi contenute, ha trovato coerente sistemazione la regolamentazione volta a limitare l’utilizzo del denaro contante, con l’obiettivo di favorire la progressiva canalizzazione delle transazioni finanziarie all’interno dei circuiti gestiti dagli intermediari abilitati, garantendone una sempre più accurata tracciabilità.

La possibilità di ricostruire analiticamente i flussi finanziari rappresenta, difatti, uno degli strumenti più efficaci a supporto delle attività investigative e di accertamento

La “stretta” sui contanti

La determinazione di un tetto massimo entro il quale contenere le singole transazioni per contanti, effettuate tra soggetti privati, ha avuto senza dubbio un impatto significativo ai fini antiriciclaggio all’epoca della sua prima introduzione (correva l’anno 1991), nella considerazione che, prima dell’entrata in vigore del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, era consentita la movimentazione di qualsivoglia somma, senza vincoli di tracciabilità.

L’iniziale soglia del divieto, “generosamente” fissata nella misura di venti milioni di lire, è stata oggetto di successive rivisitazioni (ed altalenanti rimodulazioni), fino ad essere determinata nella misura attualmente vigente di euro 2.000, con previsione di ulteriore riduzione, a decorrere dal 1° gennaio 2022, al limite di euro 1.000.

D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231
Art. 49. Limitazioni all'uso del contante e dei titoli al portatore
1. È vietato il trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, siano esse persone fisiche o giuridiche, quando il valore oggetto di trasferimento, è complessivamente pari o superiore a 3.000 euro. …
3-bis. A decorrere dal 1° luglio 2020 e fino al 31 dicembre 2021, il divieto di cui al comma 1 e la soglia di cui al comma 3 sono riferiti alla cifra di 2.000 euro. A decorrere dal 1° gennaio 2022, il predetto divieto e la predetta soglia sono riferiti alla cifra di 1.000 euro.”.

Va, tuttavia, considerato che, stante l’evoluzione tecnologica e finanziaria nel frattempo intervenuta, la fissazione di un limite estremamente stringente alla libera movimentazione del denaro contante non pare essere in grado di produrre significativi impatti sulla prevenzione dei fenomeni di riciclaggio. Tali attività criminose vengono ormai notoriamente realizzate con l’utilizzo di tecnologie e strumenti ben più complessi e articolati, senza ricorrere alla mera reintroduzione di denaro contante nei canali finanziari.

Ne discende che la strada intrapresa dal legislatore nazionale con le recenti restrizioni risulta più idonea a perseguire la piccola evasione fiscale che a contrastare i crescenti fenomeni di riciclaggio e finanziamento del terrorismo.

Periodo di vigenza del limite

Limite fissato

Dal

Al

(Divieto per importi pari o superiori a)

1° gennaio 2002 (introduzione euro)

25 dicembre 2002

10.329,14

26 dicembre 2002

29 aprile 2008

12.500,00

30 aprile 2008

24 giugno 2008

5.000,00

25 giugno 2008

30 maggio 2010

12.500,00

31 maggio 2010

12 agosto 2011

5.000,00

13 agosto 2011

5 dicembre 2011

2.500,00

6 dicembre 2011

31 dicembre 2015

1.000,00

1° gennaio 2016

30 giugno 2020

3.000,00

1° luglio 2020

31 dicembre 2021

2.000,00

1° gennaio 2022

 

1.000,00

Le criptovalute

Il proliferare nell’ultimo decennio di valute virtuali e di canali digitali riservati alle relative transazioni ha generato una accesa diatriba tra i sostenitori della moneta virtuale, che rivendicano l’efficacia dei sistemi di tracciabilità e, quindi, l’utilizzo trasparente e lecito della medesima, ed i detrattori, che ne evidenziano il potenziale utilizzo per scopi illeciti nei canali del “deep web”.

La domanda di moneta complementare potrebbe effettivamente celare l’esigenza di assicurarsi transazioni anonime proprio laddove siano vigenti normative particolarmente restrittive, che possano rappresentare una limitazione allo scambio o all’accesso a mercati non tradizionali.

Il legislatore, sensibile all’argomento, si è schierato, assumendo una posizione decisamente prudente. In tal senso va letta l’introduzione dei gestori di servizi di conversione di valuta virtuale tra i soggetti destinatari della normativa e degli adempimenti in materia di antiriciclaggio.

Con le modifiche introdotte nel “testo madre” (D.Lgs. n. 231/2007) ad opera del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 90 (recepimento della IV direttiva UE), i servizi di “exchange” virtuali (Coinbase o Bitpanda, per citare i più famosi), dove risulta possibile “acquistare” o, più correttamente, “convertire” valuta tradizionale in criptovalute (Bitcoin, Monero ed altre), sono stati inclusi tra i destinatari degli obblighi in materia di antiriciclaggio già dal 4 luglio 2017.

Analogamente, con il recepimento della V direttiva UE (ad opera del D.Lgs. 4 ottobre 2019, n. 125), sono entrati a fare parte della platea dei destinatari della normativa anche i servizi di “wallet ovvero di gestione delle criptovalute (portafogli digitali).

Anche l’UIF è intervenuta (già nel 2015 e, da ultimo, con ulteriore Comunicazione, datata 28 maggio 2019), richiamando l’attenzione di tutti i soggetti attivi della normativa antiriciclaggio - inclusi i professionisti - ad effettuare un accurato monitoraggio delle operazioni effettuate mediante utilizzo di “virtual asset” (valuta virtuale).

Il suggerimento dell’Autorithy è quello di verificare ed amplificare il peso specifico della valutazione del rischio, laddove sia verificabile la coesistenza dell’utilizzo di criptovalute con altre anomalie, quali:

  • la presenza di soggetti a “rischio elevato” (persone politicamente esposte, soggetti censiti in liste antiterrorismo, residenti in zone considerate a rischio in ragione dell’elevato grado di infiltrazione criminale);
  • l’utilizzo di strutture societarie particolarmente complesse;
  • l’utilizzo dei “virtual asset” da parte di soggetti apparentemente privi delle necessarie competenze tecniche richieste.

È in ogni caso evidente che l’impulso dell’establishment sia quello di limitare quanto più possibile l’exploit di circuiti finanziari alternativi, che possano sottrarre movimentazione al controllo della Banca d’Italia.

La cessione dei crediti fiscali

In aperta contraddizione con il percorso tracciato e fin qui descritto, tuttavia, il legislatore sembra avere intrapreso la strada dell’incentivazione all’uso della cd. “moneta fiscale”.

L’introduzione di una vera e propria “valuta fiscale” (ovvero l’emissione di titoli di credito cedibili liberamente e riconvertibili esclusivamente per soddisfare debiti di natura fiscale) è stata in più occasioni dibattuta, anche in ambito europeo, senza mai trovare una collocazione normativa.

Con una modalità del tutto atipica, invece, il legislatore nazionale l’ha in qualche maniera introdotta, in maniera più incisiva, mediante la regolamentazione della cessione dei crediti d’imposta prevista dagli artt. 121122 del decreto “Rilancio” (D.L. 19 maggio 2020, n. 34), per consentire la “monetizzazione” dei benefici fiscali realizzabili con l’attribuzione dei cd. “bonus (ad esempio, il bonus ristrutturazioni e l’ecobonus, ma anche il bonus locazioni, sanificazioni o il bonus vacanze, recentemente introdotti per fronteggiare le crisi di settore causate dall’emergenza pandemiologica in atto).

Risultano, conseguentemente, moltiplicate le fattispecie di crediti d’imposta cedibili a qualsivoglia soggetto terzo, anche differente dal fornitore intervenuto nella filiera dell’intervento incentivato, legalizzando, di fatto, una circolazione di ricchezza parallela.

Non appare affatto azzardata l’ipotesi che il meccanismo introdotto possa stimolare la fantasia delle organizzazioni criminali, stante l’assenza di processi di controllo delle transazioni generabili.

Il rischio è che le risorse stanziate dall’esecutivo possano indirettamente finanziare vere e proprie frodi carosello.

La regolamentazione della cessione, difatti, è limitata esclusivamente all’aspetto tecnico relativo alla tracciabilità del passaggio del beneficio fiscale tra cedente e cessionario (da effettuarsi esclusivamente mediante le piattaforme informatiche accessibili tramite i servizi online dell’Agenzia delle entrate).

Un contribuente fruisce del credito d’imposta per adeguamento degli ambienti di lavoro ai protocolli di sicurezza “Covid”, con beneficio fiscale pari ad euro 20.000 e opta per la cessione del medesimo importo ad un soggetto terzo, per monetizzare istantaneamente lo sconto fiscale: la cessione avverrà per l’importo di euro 15.000.
Il cessionario restituisce la somma spettante al cedente mediante provviste realizzate illecitamente ed assume nella propria contabilità ufficiale un valore attivo certificato dalla piattaforma dell’Agenzia delle entrate.
Pur nei limiti imposti dalla normativa, il cessionario potrebbe provvedere a compensare il credito acquisito con un’imposta non effettivamente dovuta (ad esempio, IVA), ottenendo, così, una “riqualificazione” del credito tributario, che potrebbe poi essere richiesto a rimborso. In tale modo, è evidente che ci sia il rischio concreto di monetizzare un credito che, seppure regolarmente spettante in termini strettamente fiscali (salve, ovviamente, le attività di controllo in termini di regolarità da parte dell’Agenzia delle entrate), è stato acquisito al solo fine di riciclare proventi illeciti, così collezionando una serie di reati (ivi incluso quello di autoriciclaggio).

Invero, il tema potrebbe ulteriormente espandersi, specialmente per quei soggetti economici che gestiscono contabilmente la propria attività con modalità semplificate e prive degli obblighi di evidenziazione delle movimentazioni finanziarie.

Al fine di evitare siffatti comportamenti e in assenza - almeno a quanto ci risulta - di una specifica ed efficace “clausola di salvaguardia”, sarebbe quanto mai opportuna un’integrazione normativa, al fine di scongiurare in radice la monetizzazione del credito funzionalmente collegata all'ipotesi del reato di riciclaggio, peraltro del tutto estranea alla volontà del legislatore e alla logica dell’agevolazione fiscale in commento.

In tal senso, potrebbe rivelarsi un efficace mezzo di contrasto l’indicazione obbligatoria (tramite implementazione delle funzioni già presenti nella piattaforma informatica predisposta dall’Agenzia delle entrate relativa alla cessione crediti) di ulteriori informazioni, quali la quantificazione del valore netto della transazione, nonché l’introduzione dell’obbligo di utilizzo di strumenti tracciabili per la relativa movimentazione. Tali accorgimenti potrebbero rivelare più agevolmente le eventuali anomalie od intercettare preventivamente possibili fenomeni di usura.

Un’incombenza in più per i professionisti del settore

Quanto rappresentato evidenzia la necessità, per il professionista del settore, di attuare ulteriori accorgimenti all’atto della profilazione della propria clientela.

Si suggerisce, pertanto, di prestare particolare attenzione, nell’ambito dell’esecuzione dell’incarico professionale, all’esame di posizioni contabili e fiscali che possano evidenziare un anomalo (o irregolare) utilizzo dello strumento in questione, valutando l’opportunità di provvedere, nei casi dubbi, ad una segnalazione di operazione sospetta.

Più in dettaglio, nell’espletamento degli adempimenti connessi all’adeguata verifica della clientela, il professionista dovrà riporre estrema cura nell’acquisizione delle informazioni relative allo scopo e alla natura della prestazione professionale, nonché alla provenienza dei fondi eventualmente utilizzati dal cliente. La reticenza di quest’ultimo nel fornire le informazioni richieste o, peggio ancora, la dubbia veridicità delle informazioni fornite, costituiranno elementi determinanti ai fini dell’individuazione del livello di rischio e dell’adozione, da parte del professionista, delle conseguenti misure di adeguata verifica “rafforzata” (ad esempio, acquisizione di ulteriore documentazione, riduzione della tempistica prevista per il controllo costante).

Tale attività, unitamente alla consultazione degli indicatori di anomalia e degli schemi di comportamento anomalo, tempo per tempo emanati dall’UIF, consentirà al professionista di acquisire gli opportuni elementi per supportare una segnalazione di operazione sospetta che, ove ritenuta necessaria, dovrà essere effettuata senza indugio, secondo le modalità all’uopo previste dalla normativa antiriciclaggio.

Riferimenti normativi: