Il Fatto
Un lavoratore adiva il Tribunale per ottenere il pagamento delle differenze retributive dovute in relazione ai servizi di reperibilità notturna, svolti 2 notti a settimana immediatamente dopo il turno di lavoro pomeridiano/serale, per complessive 48 ore settimanali.
La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda e il lavoratore ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte ricorda che i periodi di reperibilità, anche senza permanenza sul luogo di lavoro, devono essere qualificati come “orario di lavoro”; a maggior ragione, se il lavoratore è obbligato alla presenza fisica sul luogo indicato dal datore di lavoro, manifestando una sostanziale disponibilità nei confronti di quest’ultimo, al fine di intervenire immediatamente in caso di necessità. la ricostruzione in termini di dicotomia tra orario di lavoro e periodo di riposo, in base alla normativa dell’Unione Europea, come interpretata dalla Corte di Giustizia e come attuata nella normativa italiana, non determina di per sé che il turno di reperibilità notturno debba essere retribuito come lavoro straordinario notturno (come richiesto in via principale da parte ricorrente); ma nemmeno giustifica la sua mancata considerazione ai fini retributivi (o quantomeno adeguatamente indennitari).
La corte pertanto accoglie il ricorso enunciando il seguente principio di diritto: in base alla normativa dell’Unione Europea, come interpretata dalla Corte di Giustizia e come attuata nella normativa italiana, la definizione di “orario di lavoro” va intesa in opposizione a quella di “riposo”, con reciproca esclusione delle due nozioni; l’obbligo, per il lavoratore, di svolgere turni di pernottamento presso il luogo di lavoro, anche se non determinante interventi di assistenza, va considerato orario di lavoro e deve essere adeguatamente retribuito; la retribuzione dovuta per tali prestazioni deve essere conforme ai criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall'art. 36 Cost.”.
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