Il Fatto
Un lavoratore adiva il Tribunale per far accertare il carattere discriminatorio o ritorsivo del licenziamento intimatogli a seguito della partecipazione ad uno sciopero.
Il Tribunale e la Corte d’Appello accoglievano la domanda e il datore di lavoro ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte ricorda che l'esercizio del diritto di sciopero deve ritenersi illecito se, ove non effettuato con gli opportuni accorgimenti e cautele, appare idoneo a pregiudicare irreparabilmente non la produzione, ma la potenziale produttività dell'azienda, cioè la possibilità per l'imprenditore di continuare a svolgere la sua iniziativa economica, ovvero comporti la distruzione o una duratura inutilizzabilità degli impianti, con pericolo per l'impresa come organizzazione istituzionale, non come mera organizzazione gestionale, con compromissione dell'interesse generale alla preservazione dei livelli di occupazione.
La corte rileva poi che Il diritto di sciopero, al di fuori dei servizi pubblici essenziali, non incontra altri limiti se non la protezione di diritti di pari rango costituzionale e la sua legittimità non dipende dalla proclamazione formale né dalla osservanza di regole procedurali e neppure rilevano la fondatezza e l’importanza delle finalità perseguite, fermo il rispetto del c.d. limiti esterni.
Poiché i giudici di merito si sono attenuti a detti principi, la corte rigetta il ricorso.
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