Il Fatto
Un lavoratore adiva il Tribunale per ottenere, a seguito di una precedente sentenza che aveva convertito il rapporto di lavoro in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, il pagamento da parte del datore dei conseguenti oneri previdenziali.
La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, riteneva in parte la domanda prescritta e la accoglieva per il resto.
Il lavoratore ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte osserva che il datore di lavoro, per espressa previsione legislativa, è condannato al pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione, ma ha pure precisato che detta fattispecie costituisce una ipotesi eccezionale di condanna a favore del terzo, che, oltre a non richiedere la partecipazione al giudizio dell'ente previdenziale, nemmeno richiede una specifica domanda del lavoratore e ciò in quanto i contributi previdenziali obbligatori sono obbligazioni pubbliche, equiparabili a quelle tributarie a causa dell'origine legale e della loro destinazione a beneficio di enti pubblici per l'espletamento delle loro funzioni sociali. In tale ipotesi, la prescrizione quinquennale del credito contributivo dell’INPS comincia quindi a decorrere solo successivamente all'ordine di reintegrazione e si converte in prescrizione decennale, ai sensi dell'art. 2953 c.c., con il passaggio in giudicato della relativa sentenza.
A tale fattispecie non può essere equiparata quella della conversione del rapporto di lavoro costituito ab origine a tempo determinato mediante l’apposizione di un termine finale poi dichiarato giudizialmente nullo. Attesa la nullità del termine finale, il rapporto di lavoro deve ritenersi mai estinto, sicché medio tempore – ossia durante il periodo che intercorre fra la scadenza del termine nullo e la sentenza dichiarativa di tale nullità – in mancanza in prestazione lavorativa si giustifica la mancata prestazione retributiva, in omaggio al vincolo sinallagmatico proprio del contratto di lavoro subordinato.
La corte rileva che, in caso di controversa natura di un rapporto di lavoro, il termine di prescrizione dei contributi previdenziali inizia a decorrere dallo spirare del termine fissato dall'ordinamento per il pagamento della contribuzione, ossia dal giorno 21 del mese successivo a quello della maturazione del diritto alla retribuzione e non dalla data successiva della sentenza che accerti la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti.
Infine la corte ricorda che in caso di omesso versamento di contributi da parte del datore di lavoro, esclusa per l’assicurato un’azione di condanna dell'ente previdenziale alla regolarizzazione della sua posizione contributiva (anche nell'ipotesi in cui l'ente previdenziale, che sia stato messo a conoscenza dell'inadempimento contributivo prima della decorrenza del termine di prescrizione, non si sia tempestivamente attivato per l'adempimento nei confronti del datore di lavoro obbligato), residua unicamente in suo favore la facoltà di chiedere la costituzione della rendita vitalizia all’INPS ex art. 13 della Legge n. 1338/1962 ed il rimedio risarcitorio di cui all'art. 2116, comma 2, c.c. nei confronti del datore di lavoro.
Poiché i giudici di merito non si sono attenuti a tali principi, la corte accoglie il ricorso sul punto.
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