Dopo la sentenza 22 febbraio 2024, n. 22 (che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 2, comma 1, del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, limitatamente alla parola “espressamente”, con riguardo ai casi di reintegrazione - oltre al risarcimento del danno - a seguito di un licenziamento nullo), la Corte Costituzionale, con la sentenza 19 marzo 2024, n. 44 , è di nuovo intervenuta sul contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti: questa volta, però, in relazione al campo di applicazione e non con una “bocciatura”. Infatti, sono state dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, del D.Lgs. n. 23/2015, nella parte in cui, ove il datore che integri il requisito occupazionale di cui all’art. 18, commi 8 e 9 , dello Statuto Lavoratori (ossia che diventi di “maggiori” dimensioni), a seguito di assunzioni a tempo indeterminato avvenute dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. (ossia dal 7 marzo 2015), estende l’applicazione del regime di tutela del licenziamento illegittimo, previsto per i contratti a tutele crescenti, anche ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015. Dopo aver riepilogato taluni aspetti rilevanti in merito al tema affrontato dalla Consulta (campo di applicazione delle tutele crescenti, datori di “minori” e di “maggiori” dimensioni, confronto delle tutele applicabili), illustriamo le considerazioni e i principi affermati dalla Corte.
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