Si eccepisce la colpevolezza del contribuente che ha ritardato il pagamento di accise, valorizzando elementi generici - quali shock di liquidità esterno, persistente morosità dei maggiori acquirenti e revoche degli affidamenti bancari - fisiologicamente collocabili nelle dinamiche commerciali e nel rischio d’impresa.
In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l'art. 5 D.Lgs. n. 472/1997, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dall'art. 3 della legge n. 689/1981, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di avere tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. È comunque sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l'agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l'ignoranza dei presupposti dell'illecito e dunque non superabile con l'uso della normale diligenza (Cass. 30 gennaio 2020, n. 2139).
Nella specie, gli elementi addotti a sostegno della pretesa non colpevolezza del trasgressore non sono fattori esterni alle normali dinamiche imprenditoriali e, come tali, sono prevedibili ed evitabili con un'accorta gestione aziendale, sicché non può ritenersi superata la presunzione ex art. 5 del D.Lgs. n. 472/1997.
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