L'Ufficio critica che, in presenza di saldi di cassa negativi, l'esame delle movimentazioni finanziarie da sole non sia bastato a provare l'emersione di fatti economici occulti, con esclusione dell’ipotizzabilità, senza prova, di ricavi in nero, non riscontrabili dalla documentazione e dalle evidenze contabili.
Nell’accertamento induttivo del reddito d'impresa ai fini IRES e IVA, ex artt. 39 del D.P.R. n. 600/1973 e 54 del D.P.R. n. 633/1972, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un'anomalia contabile, fa presumere l'esistenza di ricavi non contabilizzati in misura pari almeno al disavanzo (la chiusura in rosso di un conto di cassa significa che le voci di spesa sono entità superiore agli introiti) (Cass. 26 marzo 2020, n. 7538).
Inoltre, se l'accertamento si fonda su verifiche di conti correnti bancari, l'onere probatorio dell'A.F. è soddisfatto, secondo l'art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili a operazioni imponibili, fornendo, a tale fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (Cass. 29 gennaio 2024, n. 2928).
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