La questione è se rientri nell’ambito dell’art. 1, comma 336, della legge n. 311/2004, il mero mutamento della destinazione d'uso di un’unità immobiliare, come desunto dalla sussistenza di un contratto di locazione.
Il riclassamento d’ufficio, disciplinato dall’art. 1, comma 336, della legge n. 311/2004, presuppone che la non conformità dello stato di fatto dell’unità immobiliare ai classamenti catastali e la conseguente violazione dell'obbligo di aggiornamento degli atti catastali siano conseguite da variazioni edilizie, così che non se ne giustifica l'esercizio in ragione della sola variazione della destinazione d'uso non accompagnata da modifiche strutturali della stessa unità immobiliare.
L’art. 1, comma 336, della legge n. 311/2004 - nel disciplinare il procedimento volto (su iniziativa dei Comuni) al riclassamento d’ufficio delle unità immobiliari, con attribuzione di nuova rendita catastale - assume a presupposto la sussistenza di situazioni di fatto non più coerenti con i classamenti catastali per intervenute variazioni edilizie. Il comma 339 rinvia a un provvedimento quanto alla determinazione delle modalità tecniche e operative per l'applicazione della disposizione. Il provvedimento in questione - adottato il 16 febbraio 2005 – identifica come suscettibili di trattazione le richieste dei Comuni riguardanti le unità immobiliari interessate da interventi edilizi che abbiano comportato la modifica permanente nella destinazione d'uso, ovvero un incremento stimabile in misura non inferiore al 15% del valore di mercato e della relativa redditività ordinaria derivante, nonché dal rilascio di licenze a uso commerciale che abbiano comportato modifiche permanenti nella destinazione d'uso, come definita nelle categorie catastali, e che sono iscritte in catasto con categoria non coerente con la destinazione autorizzata (art. 2, comma 1, lett. a e c).
Il cambio di destinazione d'uso cui non si accompagnino modifiche strutturali dell'immobile non legittima alcuna rettifica del classamento catastale di immobili urbani (Cass., 25 febbraio 2020, n. 5012).
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