Si deduce che il diniego di rimborso di IVA non dovuta, ancorché sia stata esercitata la rivalsa, contrasterebbe con la neutralità fiscale dell'imposta; il trattenimento dell'IVA non dovuta sarebbe un indebito oggettivo a favore dell'Erario; la prova della traslazione dell'IVA sul consumatore finale sarebbe a carico dell'Ufficio.
In caso di erronea applicazione di IVA su cessioni di beni ai consumatori finali, in relazione alle quali il fornitore abbia esercitato la rivalsa su questi ultimi, il contribuente non può chiedere il rimborso dell'IVA indebitamente versata, in quanto ciò costituirebbe sovracompensazione per effetto dell'avvenuta traslazione del peso economico dell'imposta.
Nell'ordinamento non vi è una regola generale secondo cui la traslazione del carico di un tributo ne impedisce il rimborso, sicché tale impedimento deve essere espressamente previsto dalle singole leggi d'imposta, come è nel caso dei diritti doganali all'importazione, ma non per l'IVA; ai fini dell'esercizio del diritto al rimborso da parte del soggetto passivo IVA, non assume rilievo l'avvenuta rivalsa dell'imposta sul cessionario, disponendo quest'ultimo, in caso di pagamento di IVA non dovuta in rivalsa, di un'azione di ripetizione nei confronti del cedente (Cass., Sez. V, 10 gennaio 2001, n. 272; Cass., Sez. V, 16 marzo 2007, n. 6193).
E’ conforme al diritto dell'UE il principio secondo cui, in caso di obbligatorio esercizio della rivalsa sul consumatore finale, il rimborso al prestatore dell'IVA indebitamente applicata si rivelerebbe ingiustificatamente sovracompensativa e comporterebbe esso stesso una violazione della neutralità dell'imposta, alterando la posizione competitiva del contribuente.
L'omesso rimborso di un’imposta erroneamente applicata non pone una questione di ingiustificato arricchimento in favore dell'Erario. Se, difatti, l'erronea applicazione dell'imposta a queste operazioni abbia fatto nascere in campo IVA delle operazioni che ne dovevano essere escluse ab origine (comportando l'insorgenza di un gettito fiscale indebito traslato sul consumatore finale), non si pone una questione di ingiustificato arricchimento in favore dell'Erario, posto che, in tali casi, il destinatario della fattura non ha azione nei confronti del Fisco, dovendo, eventualmente, esercitare un'azione civile per la ripetizione di quanto indebitamente riscosso (Cass., Sez. V, 17 novembre 2021, n. 34957).
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