Un contribuente ha presentato, direttamente all'agente della riscossione, richiesta di rimborso IVA accelerato. A seguito di controlli, emergeva che il rimborso non spettava e l'Ufficio irrogava la sanzione.
La sostituzione dell’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 471/1997, ad opera del D.Lgs. n. 158/2015, con la decorrenza ivi indicata, realizza un fenomeno di continuità normativa ai fini dell'applicazione del principio del "favor rei", in assenza di norme derogatorie dei principi generali di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 472/1997, data la persistente illiceità del fatto tipico, integrato dall'identica condotta - siccome prevista sia dalla precedente, che dalla successiva versione dell'art. 5, comma 5, cit. - di richiesta di un rimborso in tutto o in parte indebito per difetto dei presupposti, con conseguente continuità strutturale tra l'originaria fattispecie e le modifiche sopravvenute; tuttavia, considerati i differenti contesti disciplinari caratterizzanti i meccanismi di richiesta dei rimborsi, tali per cui, odiernamente, la richiesta è contenuta in dichiarazione, mentre in passato era formulata direttamente all'agente della riscossione, a prescindere dalla dichiarazione, affinché la condotta di richiesta di un rimborso in tutto o in parte indebito fatta all’agente, secondo le disposizioni "ratione temporis vigenti", seguiti ad avere rilevanza sanzionatoria, deve essere integrato il presupposto, coerente con il meccanismo di richiesta di rimborso allora vigente, della difformità di questa dalla dichiarazione, espressamente previsto dalla previgente formulazione dell'art. 5, comma 5, cit.
La condotta sanzionata, consistente nella richiesta di rimborso d'imposta non dovuta o eccedente il dovuto, integra una violazione di pericolo, così che non può essere considerata meramente formale e non sanzionabile, in quanto astrattamente idonea a determinare, in caso di accoglimento, un debito d’imposta (Cass. ord. 31 maggio 2013, n. 13888).
Per affermare la responsabilità per avere chiesto un rimborso IVA eccedente il dovuto, per difformità dalla dichiarazione, non è richiesto l'accertamento di un intento fraudolento, in quanto la norma configura l'illecito tributario senza richiedere il dolo specifico e ritiene sufficiente, per la punibilità, l'elemento psicologico della colpa, peraltro presunta a carico di chi abbia consapevolmente e volontariamente compiuto l'atto vietato (Cass. sent. 20 febbraio 2009, n. 4171; sent. 3 agosto 2012, n. 14030 e n. 14042; 15 maggio 2013, n. 11639).
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