La controversia riguarda dazi doganali recuperati a imposizione nella misura tariffaria non agevolata, in relazione a partite di merci dichiarate con origine preferenziale. Si discute del controllo presso il Paese di esportazione, l'Egitto, e della buona fede della società.
In tema di tributi doganali, lo stato soggettivo di buona fede, rilevante ai fini dell'art. 220, par. 2, lett. b), del Reg. CEE n. 2913/1992 per l'esenzione della contabilizzazione a posteriori sussiste allorquando l'importatore abbia presentato tutta la documentazione necessaria per effettuare le importazioni, compresi i certificati di origine della merce, non potendo essere a lui imputata la mancata prova dell'origine preferenziale della merce per il solo fatto che l'autorità doganale nazionale non abbia trasmesso gli originali dei certificati di origine EUR 1, onde procedere alla richiesta verifica di autenticità, ma solo le copie, ritenute insufficienti dall'autorità doganale egiziana, a prescindere dall'eventuale errore da questa commesso alla luce dell'art. 32 del Protocollo 4, Accordo Euromediterraneo, che istituisce un'associazione tra le Comunità Europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica araba d'Egitto.
Le Autorità doganali contabilizzano a posteriori i dazi per errori attivi dell'Amministrazione nel rilascio dei certificati di origine delle merci, a meno che non ricorra la buona fede dell'importatore per la quale è necessaria anche la non riconoscibilità di tali errori secondo standard obiettivi di diligenza. Non è errore attivo rilevante il mero silenzio delle Autorità sulle dichiarazioni dell'importatore circa l'origine preferenziale della merce. Il rilascio di un certificato di origine inesatto non costituisce errore scriminante se le inesattezze conseguono a un’inesatta situazione riferita dall'esportatore (Cass. Sez. 5, ord. 28 giugno 2019, n. 17501).
La buona fede dell'importatore non ha valore esimente in "re ipsa" (Cass. Sez. 5, ord. 21 febbraio 2020, n. 4639): l'onere della prova grava sul contribuente (Cass. Sez. 5, sent. 11 settembre 2019, n. 22647).
L'errore incolpevole deve essere imputabile al comportamento attivo delle autorità doganali, non rientrandovi quello indotto dalle dichiarazioni inesatte dell’operatore (Cass. Sez. 5, sent. 17 dicembre 2019, n. 33314). L'Amministrazione non può agire per il recupero dei diritti non riscossi nei confronti del debitore in buona fede e osservante la normativa per la dichiarazione in dogana (Cass. Sez. 5, ord. 26 giugno 2020, n. 12766).
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