Un contribuente afferma che la presunzione legale prevista dall’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 può essere superata anche da altre presunzioni da parte sua e, comunque, di avere prodotto documentazione da cui si potrebbe evincere che le somme versate e prelevate non si riferiscono all'attività professionale svolta.
Per effetto della sentenza della Corte costituzionale 6 ottobre 2014, n. 228, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma, n. 2), secondo periodo, del D.P.R. n. 600/1973, come modificato dall’art. 1, comma 402, lett. a), n. 1), della legge n. 311/2014, limitatamente alle parole "o compensi", gli accertamenti fiscali nei confronti dei lavoratori autonomi fondati sulla norma dichiarata illegittima, anche se relativi ad anni d’imposta precedenti alla sentenza, purchè non ancora definitivi, devono essere rivisti, escludendo dal maggior reddito oggetto di accertamento le movimentazioni bancarie di mero prelievo effettuate dai conti correnti nella disponibilità del contribuente.
La Corte ha ritenuto la norma irragionevole e contraria al principio di capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati a un investimento nell'ambito della propria attività professionale e che questo, a sua volta, sia produttivo di un reddito. La norma dichiarata costituzionalmente illegittima cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza; di conseguenza, gli effetti della pronunzia retroagiscono e si applicano anche ai rapporti giuridici non consolidati e non coperti da decisioni passate in giudicato (Cass., Sez. I, sent. n. 6926 del 7 maggio 2003). La citata sentenza della Corte costituzionale, pertanto, trova applicazione anche nel procedimento in esame, in quanto il rapporto processuale non si è ancora esaurito. Inoltre, trattandosi di una questione di diritto, può essere rilevata d'ufficio, senza necessità di preventiva prospettazione della questione alle parti (Cass. 20 luglio 2011, n. 15964).
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