La sanzione inflitta dal MEF
Un commercialista ha proposto opposizione dinanzi al Tribunale avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa nel novembre del 2013, dal Direttore generale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, c.d. MEF, che gli infliggeva la sanzione pecuniaria di 602.900,00 euro per violazione delle disposizioni di cui all’art. 3, D.L. n. 143/1991 (convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 197/1991), e di cui all’art. 41, D.Lgs. n. 231/2007, per avere omesso di segnalare alla UIF (Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia) operazioni sospette poste in essere da una s.r.l., sua cliente, e depositario della contabilità dell’azienda, nel periodo dal 28 aprile 2006 al 12 giugno 2008; la società era operante nel settore del commercio all’ingrosso di rottami ferrosi.
Nello specifico, le operazioni sospette sono consistite in 132 prelievi di contante (per 8.843.600 euro) compiuti fino al 31 dicembre 2007 (quando era applicabile la disciplina del 1991) e in 54 prelievi di contante (per 3.214.000 euro) compiuti fino a giugno 2008 (nel vigore della nuova disciplina), per un ammontare complessivo di 12.057.600 euro.
La Corte di appello, nell’accogliere il ricorso del commercialista, ha annullato l’ordinanza-ingiunzione del MEF.
Il MEF avverso la sentenza sfavorevole è ricorso in Cassazione.
La normativa di riferimento
Secondo la disciplina del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 3, convertito dalla Legge n. 197/1991 e del D.Lgs. n. 153/1997 (“Integrazione dell’attuazione della direttiva 91/308/CEE in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita”) e, ancora, del D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 56, gli “intermediari”, ossia gli operatori e i professionisti indicati dalle disposizioni in esame, hanno l’obbligo di segnalare alla competente Autorità di controllo (Ufficio Italiano Cambi) ogni operazione che, per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività del soggetto cui è riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a sua disposizione, che il denaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possa provenire da taluno dei reati indicati negli artt. 648-bis e 648-ter c.p.
Va, infatti, evidenziato che “Le istruzioni operative per l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio” aggiornate a novembre 1994, stabiliscono che sono sospetto di riciclaggio “frequenti operazioni di importo di poco inferiori al limite di registrazione, soprattutto se effettuate in contanti”; nelle operazioni sospette deve aversi riguardo (tra gli altri) al seguente criterio generale “ingiustificato impiego di denaro contante o mezzi di pagamento non appropriati rispetto alla prassi comune ed in considerazione della natura dell’operazione”.
I prelievi eccessi sospetti vanno segnalati
Nell’analizzare il ricorso del MEF, la Corte di Cassazione osserva che la decisione della Corte territoriale trascura alcuni nitidi indici di anomalia (puntualmente descritti nel Decalogo di Banca d’Italia e nelle Istruzioni dell’UIC), desumibili dagli atti del giudizio, e così sintetizzabili: stando alle risultanze obiettive, si assume che la s.r.l. acquistasse la merce (materiale ferroso) da privati, senza fatturazione, e quindi in maniera “non tracciabile”, e che i residui ferrosi apparentemente acquistati venissero ceduti (la venditrice emetteva fatture di vendita) a una società acquirente, che probabilmente svolgeva il ruolo della c.d. “cartiera”, se è vero che, come afferma la difesa del commercialista piemontese, la società “ (…) ha commesso il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di documenti per operazioni inesistenti”.
La stessa società, in un arco di tempo ridotto (poco più di 2 anni), mediante 186 operazioni di prelevamento dai propri conti bancari, ha avuto la disponibilità di flussi considerevoli di denaro contante (per oltre 12 milioni di euro), la cui destinazione non è stata documentata e, pertanto, è rimasta ignota.
È chiaro, osserva la Cassazione, che in presenza di tali evidenti sintomi di abnormità nel modus operandi della società (che, trovano riscontro negli “indici di anomalia” del Decalogo della Banca d’Italia e nelle Istruzioni applicative dell’UIC), al contrario di quanto afferma la sentenza impugnata, il consulente della società era obbligato a segnalare le operazioni formalmente anomale all’autorità amministrativa a ciò preposta, per consentirle di verificare se il ricorso frequente e ingiustificato al contante fosse, o meno, finalizzato ad eludere le disposizioni dirette a prevenire e punire l’attività di riciclaggio e (dal 2008) l’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo.
In conclusione la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello che, in diversa composizione, si dovrà pronunciare anche per le spese del giudizio di legittimità.
Riferimenti normativi:
- D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, art. 41;
- D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 56;
- D.L. 3 maggio 1991, n. 143, convertito dalla Legge 5 luglio 1991, n. 197, art. 3;
- Cass. civ., sez. II, sent. 22 gennaio 2024, n. 2129.
Sanzione per il commercialista che non comunica i prelievi eccessivi del proprio cliente
di Studio tributario Gavioli & Associati | 30 Gennaio 2024
Il commercialista che non segnala a Bankitalia i numerosi e anomali prelievi del proprio cliente incorre nella sanzione amministrativa; è quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 2129, del 22 gennaio 2024.
La sanzione inflitta dal MEF
Un commercialista ha proposto opposizione dinanzi al Tribunale avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa nel novembre del 2013, dal Direttore generale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, c.d. MEF, che gli infliggeva la sanzione pecuniaria di 602.900,00 euro per violazione delle disposizioni di cui all’art. 3, D.L. n. 143/1991 (convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 197/1991), e di cui all’art. 41, D.Lgs. n. 231/2007, per avere omesso di segnalare alla UIF (Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia) operazioni sospette poste in essere da una s.r.l., sua cliente, e depositario della contabilità dell’azienda, nel periodo dal 28 aprile 2006 al 12 giugno 2008; la società era operante nel settore del commercio all’ingrosso di rottami ferrosi.
Nello specifico, le operazioni sospette sono consistite in 132 prelievi di contante (per 8.843.600 euro) compiuti fino al 31 dicembre 2007 (quando era applicabile la disciplina del 1991) e in 54 prelievi di contante (per 3.214.000 euro) compiuti fino a giugno 2008 (nel vigore della nuova disciplina), per un ammontare complessivo di 12.057.600 euro.
La Corte di appello, nell’accogliere il ricorso del commercialista, ha annullato l’ordinanza-ingiunzione del MEF.
Il MEF avverso la sentenza sfavorevole è ricorso in Cassazione.
La normativa di riferimento
Secondo la disciplina del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 3, convertito dalla Legge n. 197/1991 e del D.Lgs. n. 153/1997 (“Integrazione dell’attuazione della direttiva 91/308/CEE in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita”) e, ancora, del D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 56, gli “intermediari”, ossia gli operatori e i professionisti indicati dalle disposizioni in esame, hanno l’obbligo di segnalare alla competente Autorità di controllo (Ufficio Italiano Cambi) ogni operazione che, per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività del soggetto cui è riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a sua disposizione, che il denaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possa provenire da taluno dei reati indicati negli artt. 648-bis e 648-ter c.p.
Va, infatti, evidenziato che “Le istruzioni operative per l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio” aggiornate a novembre 1994, stabiliscono che sono sospetto di riciclaggio “frequenti operazioni di importo di poco inferiori al limite di registrazione, soprattutto se effettuate in contanti”; nelle operazioni sospette deve aversi riguardo (tra gli altri) al seguente criterio generale “ingiustificato impiego di denaro contante o mezzi di pagamento non appropriati rispetto alla prassi comune ed in considerazione della natura dell’operazione”.
I prelievi eccessi sospetti vanno segnalati
Nell’analizzare il ricorso del MEF, la Corte di Cassazione osserva che la decisione della Corte territoriale trascura alcuni nitidi indici di anomalia (puntualmente descritti nel Decalogo di Banca d’Italia e nelle Istruzioni dell’UIC), desumibili dagli atti del giudizio, e così sintetizzabili: stando alle risultanze obiettive, si assume che la s.r.l. acquistasse la merce (materiale ferroso) da privati, senza fatturazione, e quindi in maniera “non tracciabile”, e che i residui ferrosi apparentemente acquistati venissero ceduti (la venditrice emetteva fatture di vendita) a una società acquirente, che probabilmente svolgeva il ruolo della c.d. “cartiera”, se è vero che, come afferma la difesa del commercialista piemontese, la società “ (…) ha commesso il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di documenti per operazioni inesistenti”.
La stessa società, in un arco di tempo ridotto (poco più di 2 anni), mediante 186 operazioni di prelevamento dai propri conti bancari, ha avuto la disponibilità di flussi considerevoli di denaro contante (per oltre 12 milioni di euro), la cui destinazione non è stata documentata e, pertanto, è rimasta ignota.
È chiaro, osserva la Cassazione, che in presenza di tali evidenti sintomi di abnormità nel modus operandi della società (che, trovano riscontro negli “indici di anomalia” del Decalogo della Banca d’Italia e nelle Istruzioni applicative dell’UIC), al contrario di quanto afferma la sentenza impugnata, il consulente della società era obbligato a segnalare le operazioni formalmente anomale all’autorità amministrativa a ciò preposta, per consentirle di verificare se il ricorso frequente e ingiustificato al contante fosse, o meno, finalizzato ad eludere le disposizioni dirette a prevenire e punire l’attività di riciclaggio e (dal 2008) l’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo.
In conclusione la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello che, in diversa composizione, si dovrà pronunciare anche per le spese del giudizio di legittimità.
Riferimenti normativi:
Sullo stesso argomento:Segnalazione delle operazioni sospette
Per quale motivo è stato inflitta la sanzione al commercialista dal Ministero dell'Economia e delle Finanze?
La sanzione è stata inflitta per omessa segnalazione alla UIF di operazioni sospette poste in essere da una s.r.l.
Qual è stata la decisione della Corte di appello riguardo al ricorso del commercialista?
La Corte di appello ha annullato l'ordinanza-ingiunzione del Ministero dell'Economia e delle Finanze.
Quale normativa di riferimento è stata citata in relazione all'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette?
La normativa di riferimento include il D.Lgs. n. 231/2007, il D.L. 3 maggio 1991, n. 143 e il D.Lgs. n. 56/2004.
Secondo quale criterio le operazioni sospette di riciclaggio devono essere segnalate?
Le operazioni sospette di riciclaggio devono essere segnalate in base al criterio dell'ingiustificato impiego di denaro contante o mezzi di pagamento non appropriati rispetto alla prassi comune e in considerazione della natura dell'operazione.
Qual è stata la decisione della Corte di Cassazione riguardo al ricorso del Ministero dell'Economia e delle Finanze?
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello per una nuova pronuncia.