Il contenzioso penale
Con sentenza emessa nell’aprile del 2022, la Corte di appello ha confermato la sentenza pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato la responsabilità penale di due componenti del CDA per il reato di cui all’art. 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e, operata la riduzione per il rito, li aveva condannati alla pena di un anno di reclusione, condizionalmente sospesa.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, i due imputati, nella qualità di soci amministratori di una s.r.l., al fine di evadere le imposte sui redditi e l’IVA, avrebbero indicato elementi passivi fittizi per un importo complessivo di oltre 300mila euro nella dichiarazione Mod. Unico presentata il 24 settembre 2016, con riferimento all’anno 2015, utilizzando ventiquattro fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti emesse dalla stessa s.r.l.
Nel ricorso si evidenzia, tra l’altro, la violazione di legge, in riferimento all’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000; la Corte d’appello ha ritenuto la responsabilità degli attuale ricorrenti in quanto soggetti effettivamente coinvolti nelle scelte gestionali della società di famiglia e titolari, in ragione della carica ricoperta, di un dovere di vigilanza e controllo, senza considerare l’attribuzione di poteri disgiunti a ciascun amministratore, compresa la legale rappresentante, la quale aveva sottoscritto la dichiarazione, e senza indicare quale sia stato l’effettivo contributo degli altri amministratori nella presentazione della dichiarazione.
Si aggiunge che non è stata accertata nemmeno la consapevolezza, in capo agli attuali ricorrenti, della fittizietà delle fatture utilizzate, non potendo tale situazione soggettiva essere desunta dagli “importi considerevoli” delle operazioni.
La sentenza della Cassazione
Secondo la Cassazione il ricorso dei due amministratori è fondato, rispettivamente, con riferimento ai motivi di seguito indicati.
Preliminare è l’esame delle censure esposte nel ricorso dei soci, i quali contestano la conclusione della sentenza impugnata in ordine alla fittizietà soggettiva delle fatture indicate nell’imputazione, deducendo, in sintesi, che non è indizio concludente la discordanza tra i dati indicati in tali documenti contabili e nei DAS (documenti di accompagnamento semplificato), né può attribuirsi rilievo alla mancata produzione dei pertinenti titoli di pagamento, perché, in tal modo, si invertirebbe l’onere della prova.
Ai fini dell’esame delle censure appena sintetizzate, è utile premettere, innanzitutto, che la prova della fittizietà soggettiva delle fatture può essere desunta anche da indizi, purché gravi, precisi e concordanti.
Va poi rilevato che, secondo un principio ampiamente consolidato, se l’accusa abbia assolto l’onere della prova, anche sulla base di presunzioni e di massime di esperienza, l’imputato è gravato dell’onere di fornire allegazioni a sostegno della tesi difensiva.
La sentenza impugnata ritiene che le fatture in contestazione, formalmente rilasciate dalla s.r.l. verso un’altra, siano soggettivamente false in relazione all’emittente, sulla base di una pluralità di elementi, e non solo per la non corrispondenza tra le stesse e i documenti di accompagnamento semplificati.
Osserva la Cassazione che la discordanza tra i documenti di accompagnamento semplificati e le fatture è circostanza che viene inserita in un contesto probatorio più ampio, caratterizzato dal fatto che la s.r.l. non gestisce depositi (si trattava dell’altra s.r.l.) e non possiede codici accisa. Inoltre, costituisce indizio anche la semplice omessa specificazione dei pagamenti e l’assenza di documentazione in proposito, posto il riferimento ad un importo complessivo considerevole, pari a quasi 320mila euro.
Sicché, l’omessa produzione di dati più precisi in proposito da parte degli imputati non costituisce elemento a carico, bensì vicenda idonea a “confermare” la gravità e precisione dell’indizio.
Sono fondate, invece, le censure enunciate dagli amministratori ricorrenti le quali contestano l’affermazione della loro responsabilità, deducendo che la stessa è basata solo sul dato della carica da essi ricoperta nella società, e non tiene conto né dell’attribuzione di poteri disgiunti ai tre amministratori della s.r.l., né della sottoscrizione della dichiarazione ritenuta mendace ad opera della sola sorella, né dell’assenza di precisi elementi indicativi della consapevolezza dei ricorrenti in ordine alla fittizietà soggettiva delle fatture.
La questione posta attiene alla individuazione dei criteri di imputazione della responsabilità per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti agli amministratori di una società, i quali non abbiano sottoscritto o presentato la dichiarazione.
Secondo l’unico precedente, in tema di reati tributari, nel caso di delitto deliberato e direttamente realizzato da singoli componenti del consiglio di amministrazione di una società di capitali nel cui ambito non sia stata conferita alcuna specifica delega, ciascuno degli altri amministratori risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, ove sia ravvisabile una violazione dolosa dello specifico obbligo di vigilanza e di controllo sull’andamento della gestione societaria derivante dalla posizione di garanzia di cui all’art. 2392 c.c. (n. 30689 del 4 maggio 2021 proprio in tema di delitto di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti).
Questo precedente si pone in linea con l’orientamento consolidato in materia di bancarotta fraudolenta.
Invero, costituisce affermazione costante nella giurisprudenza di legittimità quella secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, il concorso per omesso impedimento dell’evento dell’amministratore privo di delega è configurabile quando, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle condotte illecite tenute dai consiglieri operativi in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere, secondo i criteri propri del dolo eventuale, l’accettazione del rischio del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà, nella forma del dolo indiretto, di non attivarsi per scongiurare detto evento.
Il principio indicato si collega, fondamentalmente, alla disciplina fissata dall’art. 2392 c.c.
Secondo questa disposizione, per quanto di specifico interesse ai fini della soluzione della questione in esame, gli amministratori di una società non rispondono delle violazione dei doveri ad essi imposti dalla legge o dallo statuto in relazione a fatti commessi da “colleghi” nell’esercizio “di attribuzioni del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori” (comma 1), salvo essere “solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose” (comma 2).
Sulla base di questo dato normativo, quindi, gli amministratori senza delega rispondono per i fatti pregiudizievoli per la società commessi in violazione di legge o di statuto da uno di loro nell’esercizio di funzioni al medesimo attribuite “in concreto”, solo se ne erano a conoscenza e non hanno fatto il possibile per impedirne il compimento.
E in questi termini deve intendersi anche il limite massimo di estensione della responsabilità penale per fatti materialmente commessi dagli altri amministratori.
Di conseguenza, sembra ragionevole ritenere che gli amministratori di una società, i quali non abbiano sottoscritto una dichiarazione fiscale fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, perché a ciò abbia provveduto un altro di essi nell’esercizio di funzioni a lui attribuite anche “in concreto”, rispondono in concorso del reato di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 74 del 2000, solo se abbiano avuto conoscenza dell’inserimento di tali documenti mendaci in contabilità e, ciononostante, non si siano attivati per impedirne l’indicazione nella dichiarazione o per impedire la presentazione di questa.
I giudici di legittimità, in conclusione, annullano la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello per un nuovo esame.
Riferimenti normativi:
Dichiarazione fraudolenta con false fatture: i componenti del CDA ne rispondono se hanno avuto conoscenza dell’illecito
di Studio tributario Gavioli & Associati | 28 Luglio 2023
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31017, del 18 luglio 2023, ha affermato che i componenti del consiglio di amministrazione che non hanno sottoscritto la dichiarazione fraudolenta con false fatture ne rispondono in concorso con l’amministratore rappresentate legale, che invece l’ha firmata, se hanno avuto conoscenza del reato. In particolare, la Cassazione ha dichiarato che in tema di reati tributari, nel caso di delitto deliberato e direttamente realizzato da singoli componenti del consiglio di amministrazione di una società di capitali nel cui ambito non sia stata conferita alcuna specifica delega, ciascuno degli altri amministratori risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, ove sia ravvisabile una violazione dolosa dello specifico obbligo di vigilanza e di controllo sull’andamento della gestione societaria derivante dalla posizione di garanzia, di cui all’art. 2392 c.c.
Il contenzioso penale
Con sentenza emessa nell’aprile del 2022, la Corte di appello ha confermato la sentenza pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato la responsabilità penale di due componenti del CDA per il reato di cui all’art. 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e, operata la riduzione per il rito, li aveva condannati alla pena di un anno di reclusione, condizionalmente sospesa.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, i due imputati, nella qualità di soci amministratori di una s.r.l., al fine di evadere le imposte sui redditi e l’IVA, avrebbero indicato elementi passivi fittizi per un importo complessivo di oltre 300mila euro nella dichiarazione Mod. Unico presentata il 24 settembre 2016, con riferimento all’anno 2015, utilizzando ventiquattro fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti emesse dalla stessa s.r.l.
Nel ricorso si evidenzia, tra l’altro, la violazione di legge, in riferimento all’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000; la Corte d’appello ha ritenuto la responsabilità degli attuale ricorrenti in quanto soggetti effettivamente coinvolti nelle scelte gestionali della società di famiglia e titolari, in ragione della carica ricoperta, di un dovere di vigilanza e controllo, senza considerare l’attribuzione di poteri disgiunti a ciascun amministratore, compresa la legale rappresentante, la quale aveva sottoscritto la dichiarazione, e senza indicare quale sia stato l’effettivo contributo degli altri amministratori nella presentazione della dichiarazione.
Si aggiunge che non è stata accertata nemmeno la consapevolezza, in capo agli attuali ricorrenti, della fittizietà delle fatture utilizzate, non potendo tale situazione soggettiva essere desunta dagli “importi considerevoli” delle operazioni.
La sentenza della Cassazione
Secondo la Cassazione il ricorso dei due amministratori è fondato, rispettivamente, con riferimento ai motivi di seguito indicati.
Preliminare è l’esame delle censure esposte nel ricorso dei soci, i quali contestano la conclusione della sentenza impugnata in ordine alla fittizietà soggettiva delle fatture indicate nell’imputazione, deducendo, in sintesi, che non è indizio concludente la discordanza tra i dati indicati in tali documenti contabili e nei DAS (documenti di accompagnamento semplificato), né può attribuirsi rilievo alla mancata produzione dei pertinenti titoli di pagamento, perché, in tal modo, si invertirebbe l’onere della prova.
Ai fini dell’esame delle censure appena sintetizzate, è utile premettere, innanzitutto, che la prova della fittizietà soggettiva delle fatture può essere desunta anche da indizi, purché gravi, precisi e concordanti.
Va poi rilevato che, secondo un principio ampiamente consolidato, se l’accusa abbia assolto l’onere della prova, anche sulla base di presunzioni e di massime di esperienza, l’imputato è gravato dell’onere di fornire allegazioni a sostegno della tesi difensiva.
La sentenza impugnata ritiene che le fatture in contestazione, formalmente rilasciate dalla s.r.l. verso un’altra, siano soggettivamente false in relazione all’emittente, sulla base di una pluralità di elementi, e non solo per la non corrispondenza tra le stesse e i documenti di accompagnamento semplificati.
Osserva la Cassazione che la discordanza tra i documenti di accompagnamento semplificati e le fatture è circostanza che viene inserita in un contesto probatorio più ampio, caratterizzato dal fatto che la s.r.l. non gestisce depositi (si trattava dell’altra s.r.l.) e non possiede codici accisa. Inoltre, costituisce indizio anche la semplice omessa specificazione dei pagamenti e l’assenza di documentazione in proposito, posto il riferimento ad un importo complessivo considerevole, pari a quasi 320mila euro.
Sicché, l’omessa produzione di dati più precisi in proposito da parte degli imputati non costituisce elemento a carico, bensì vicenda idonea a “confermare” la gravità e precisione dell’indizio.
Sono fondate, invece, le censure enunciate dagli amministratori ricorrenti le quali contestano l’affermazione della loro responsabilità, deducendo che la stessa è basata solo sul dato della carica da essi ricoperta nella società, e non tiene conto né dell’attribuzione di poteri disgiunti ai tre amministratori della s.r.l., né della sottoscrizione della dichiarazione ritenuta mendace ad opera della sola sorella, né dell’assenza di precisi elementi indicativi della consapevolezza dei ricorrenti in ordine alla fittizietà soggettiva delle fatture.
La questione posta attiene alla individuazione dei criteri di imputazione della responsabilità per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti agli amministratori di una società, i quali non abbiano sottoscritto o presentato la dichiarazione.
Secondo l’unico precedente, in tema di reati tributari, nel caso di delitto deliberato e direttamente realizzato da singoli componenti del consiglio di amministrazione di una società di capitali nel cui ambito non sia stata conferita alcuna specifica delega, ciascuno degli altri amministratori risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, ove sia ravvisabile una violazione dolosa dello specifico obbligo di vigilanza e di controllo sull’andamento della gestione societaria derivante dalla posizione di garanzia di cui all’art. 2392 c.c. (n. 30689 del 4 maggio 2021 proprio in tema di delitto di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti).
Questo precedente si pone in linea con l’orientamento consolidato in materia di bancarotta fraudolenta.
Invero, costituisce affermazione costante nella giurisprudenza di legittimità quella secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, il concorso per omesso impedimento dell’evento dell’amministratore privo di delega è configurabile quando, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle condotte illecite tenute dai consiglieri operativi in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere, secondo i criteri propri del dolo eventuale, l’accettazione del rischio del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà, nella forma del dolo indiretto, di non attivarsi per scongiurare detto evento.
Il principio indicato si collega, fondamentalmente, alla disciplina fissata dall’art. 2392 c.c.
Secondo questa disposizione, per quanto di specifico interesse ai fini della soluzione della questione in esame, gli amministratori di una società non rispondono delle violazione dei doveri ad essi imposti dalla legge o dallo statuto in relazione a fatti commessi da “colleghi” nell’esercizio “di attribuzioni del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori” (comma 1), salvo essere “solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose” (comma 2).
Sulla base di questo dato normativo, quindi, gli amministratori senza delega rispondono per i fatti pregiudizievoli per la società commessi in violazione di legge o di statuto da uno di loro nell’esercizio di funzioni al medesimo attribuite “in concreto”, solo se ne erano a conoscenza e non hanno fatto il possibile per impedirne il compimento.
E in questi termini deve intendersi anche il limite massimo di estensione della responsabilità penale per fatti materialmente commessi dagli altri amministratori.
Di conseguenza, sembra ragionevole ritenere che gli amministratori di una società, i quali non abbiano sottoscritto una dichiarazione fiscale fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, perché a ciò abbia provveduto un altro di essi nell’esercizio di funzioni a lui attribuite anche “in concreto”, rispondono in concorso del reato di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 74 del 2000, solo se abbiano avuto conoscenza dell’inserimento di tali documenti mendaci in contabilità e, ciononostante, non si siano attivati per impedirne l’indicazione nella dichiarazione o per impedire la presentazione di questa.
I giudici di legittimità, in conclusione, annullano la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello per un nuovo esame.
Riferimenti normativi:
Sullo stesso argomento:Fatture false
Quando è stata emessa la sentenza della Corte di appello confermata nel 2022?
Nell'aprile del 2022.
Qual è stato il reato per cui i due componenti del CDA sono stati condannati?
Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74).
Qual era l'importo complessivo degli elementi passivi fittizi indicati nella dichiarazione Mod. Unico presentata?
Oltre 300mila euro.
Secondo la sentenza della Cassazione, in quali casi gli amministratori rispondono a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento?
Rispondono a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento se è ravvisabile una violazione dolosa dello specifico obbligo di vigilanza e di controllo sull’andamento della gestione societaria derivante dalla posizione di garanzia.
Secondo la Corte di Cassazione, in quali casi i componenti del consiglio di amministrazione rispondono in concorso con l’amministratore rappresentate legale?
Rispondono in concorso con l’amministratore rappresentate legale se hanno avuto conoscenza del reato.