Commento
PROFESSIONISTI, IRAP

Sì all’IRAP se il professionista non prova di non avere operato in forma associata

di Maria Luisa Barone | 15 Novembre 2022
Sì all’IRAP se il professionista non prova di non avere operato in forma associata

Al fine di ottenere il rimborso dell’IRAP di uno studio associato, il professionista, nel caso di specie un commercialista, è tenuto a dimostrare non l’insussistenza dell’autonoma organizzazione nell’esercizio in forma associata dell’attività, ma piuttosto l’insussistenza dell’esercizio in forma associata dell’attività stessa. Si è così espressa la Sesta sezione civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32272/2022, pubblicata in data 2 novembre 2022.

L’IRAP

L’Imposta regionale sulle attività produttive è prevista dal D.Lgs. n. 446/1997 il quale dispone, all’art. 2, che il presupposto dell’imposta è costituito dall’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi.

Dunque, l’attività deve presentare i caratteri dell’abitualità e dell’autonoma organizzazione.

Nel silenzio del legislatore e da una lettura organica della giurisprudenza, è oggi possibile ritenere che il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il professionista:

  • sia il responsabile dell’organizzazione e non sia inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
  • impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero mansioni esecutive.

Tra i soggetti passivi dell’imposta de qua, per quel che rileva nella presente trattazione, figurano le società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice e quelle equiparate (art. 5 del TUIR), comprese le associazioni costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni.

La fattispecie processuale

Uno studio professionale di consulenza aziendale e tributaria costituito in forma associata richiedeva il rimborso dell’IRAP versata per l’anno 2010. L’istanza veniva respinta e lo studio impugnava il diniego dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, evidenziando come il rimborso era legittimato dalla circostanza per la quale trattavasi di compensi percepiti da ogni singolo professionista per l’attività di componenti di collegi sindacali.

In primo grado le eccezioni dei contribuenti coglievano nel segno. Al contrario, in appello la decisione veniva riformata poiché la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia riteneva non assolto l’onere della prova in capo allo Studio professionale associato.

In particolare, i Giudici di Appello sostenevano che quest’ultimo avrebbe dovuto provare che l’attività svolta dal singolo fosse “funzionalmente scollegata da quella dello studio professionale”.

Invero, dalla documentazione versata in atti, si evinceva che i compensi per le cariche espletate erano stati corrisposti allo studio professionale. Pertanto, accoglieva il gravame proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Avverso la sentenza della CTR i contribuenti adivano il Palazzaccio articolando il ricorso in due motivi di diritto:

  1. violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n. 446/1997, nonché degli artt. 50 e 53 del D.P.R. n. 917/1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per non avere, la Regionale, “considerato che non integra di per sé il requisito dell’autonoma organizzazione la circostanza che il commercialista normalmente operi presso uno studio professionale”;
  2. violazione e falsa applicazione degli artt. 3 del D.Lgs. n. 446/1997, 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per non avere i giudici di Appello, vagliato attentamente le certificazioni di ritenuta d’acconto rilasciate dalle società per le quali i componenti dello studio avevano espletato gli incarichi di componenti dei collegi sindacali. A mezzo di tale documentazione, infatti, l’onere della prova afferente alla scindibilità dei compensi da non assoggettare ad IRAP, era da ritenersi assolto.

La decisione

La Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Il primo motivo è stato dichiarato inammissibile, perché non attingeva la ratio decidendi della sentenza impugnata. Gli Ermellini, in ogni caso, hanno ritenuto che l’iter logico-giuridico operato dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia fosse indefettibile.

Per completezza, volendo comunque procedere alla trattazione del motivo proposto, riportandosi all’ordinanza n. 12495/2019, hanno ribadito che “in tema di IRAP, non integra il presupposto impositivo l’attività di sindaco o di componente degli organi di amministrazione e di controllo di enti e società svolta dai singoli associati in modo separato a quella ulteriore espletata all’interno di un’associazione professionale, gravando tuttavia su quest’ultima, in caso di richiesta di rimborso, l’onere di provare la separatezza dei redditi di cui predica lo scorporo rispetto alle attività individuali svolte dai singoli associati quali organi di una compagine terza”.

Dalle fatture emergeva l’intestazione allo studio associato sicché la scissione era quasi impossibile da determinare.

Il secondo motivo, invece, è stato ritenuto dai Massimi Giudici infondato.

Hanno rammentato come sul punto erano già intervenute le Sezioni Unite con sentenza n. 7371/2016, a mezzo della quale avevano statuito che in caso di società semplici e associazioni senza personalità giuridica, non era necessario espletare alcun accertamento in ordine all’autonoma organizzazione. Tale principio, a loro parere, è applicabile anche al caso di specie, sicché l’Ufficio non doveva compiere accertamento alcuno. Piuttosto, proseguono, e qui risiede il fulcro della pronuncia in commento, è il contribuente che ha la facoltà di fornire la prova contraria che si concretizza non nell’insussistenza “dell’autonoma organizzazione nell’esercizio in forma associata dell’attività, ma piuttosto l’insussistenza dell’esercizio in forma associata dell’attività stessa”.

Tale prova non è stata fornita. La circostanza eccepita relativa alle certificazioni di ritenuta d’acconto, non esclude che i professionisti siano stati designati proprio in virtù dell’organizzazione dello Studio professionale associato di cui era componente, né tanto meno che nello svolgimento dell’incarico non si siano avvalsi dell’organizzazione del predetto studio.

D’altronde, chiosano i Giudici di Piazza Cavour, consolidando l’orientamento già espresso con le ordinanze nn. 3434/2012 e 26425/2016, “la circostanza (incontestata) che sia stato lo studio associato a ricevere il pagamento dei compensi per l’espletata attività di sindaco e in tale veste abbia fatturato gli stessi per conto dei professionisti associati conduce a ribadire il principio per cui, in tema di IRAP, non ha diritto al rimborso d’imposta il dottore commercialista che, in presenza di autonoma organizzazione ed espletando congiuntamente anche gli incarichi connessi di sindaco, amministratore di società e consulente tecnico, svolga sostanzialmente un’attività unitaria, nella quale siano coinvolte conoscenze tecniche direttamente collegate all’esercizio della professione nel suo complesso, allorché non sia possibile scorporare le diverse categorie di compensi eventualmente conseguiti e di verificare l’esistenza dei requisiti impositivi per ciascuno dei settori in esame, per il mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sul contribuente”.

Sulla scia di tali considerazioni, il ricorso è stato rigettato, con condanna alle spese di lite secondo la regola generale della soccombenza.

Osservazioni

La pronuncia in commento, secondo la scrivente, si pone in linea di continuità con l’orientamento della Suprema Corte.

Non si può non rammentare che, sul tema oggetto della presente ordinanza, l’Associazione Italiana dottori commercialisti ed esperti contabili (AIDC), era intervenuta con la Norma di comportamento n. 215/2021, sancendo che non sono soggetti a IRAP i compensi percepiti per la carica di sindaco, tanto dal professionista individuale quanto dall’associazione professionale per conto di un associato poiché i predetti compensi sono riconducibili all’attività di vigilanza e di controllo esercitata personalmente dal professionista nominato, senza apporto dell’autonoma organizzazione riferibile allo studio professionale o all’associazione.

Tuttavia, nel caso di specie, vi erano più elementi probatori che conducevano all’applicabilità dell’IRAP. Ci si riferisce, in particolare, a due aspetti:

  1. il ricorso era stato avanzato nell’interesse dello Studio Professionale;
  2. le fatture erano intestate allo Studio e non al professionista.

Da qui, la correttezza dell’imposizione.

Riferimenti normativi:

 

 

 

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