Le risposte ad interpello esaminate nel seguito vanno ad aggiungersi ad una ormai enorme produzione di prassi dedicata al regime forfetario. Si tratta di una circostanza che merita rilievo, posto che il regime agevolato è nato, teoricamente, con l’intento non solo di applicare una “tassa piatta”, tornata in questi giorni di campagna elettorale prepotentemente di attualità, ma anche con l’intenzione di semplificare al massimo gli adempimenti, proprio in ragione della ridotta dimensione dei contribuenti destinatari del regime stesso.
Quest’ultimo obiettivo, sfortunatamente, complici continue novità normative e interpretazioni, non può certamente considerarsi centrato, tanto che, dopo anni di applicazione, ci si ritrova ancora con dubbi e perplessità, che riguardano non solo casi particolari, come quello affrontato nella risposta ad interpello n. 422/2022 in materia di detenzione di partecipazione in società di persone fallita, ma anche fattispecie che riguardano la stragrande maggioranza dei contribuenti, ovvero il corretto trattamento ai fini impositivi dell’imposta di bollo riaddebitata al cliente, oggetto della risposta ad interpello n. 428/2022 .
Di seguito vengono analizzati i tratti salienti delle recenti interpretazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate in risposta ai quesiti posti dai contribuenti.
Accesso al regime forfetario e partecipazione in società fallita
La risposta ad interpello n. 422/2022 interviene a fornire chiarimenti in ordine alla possibilità di accedere al regime forfetario, fermo restando il rispetto dei diversi requisiti richiesti, per un contribuente che detiene una partecipazione in società di persone dichiarata fallita.
Come noto, la lettera d) del comma 57 dell’art. 1 , legge n. 190/2014, prevede che costituisca causa ostativa per l’accesso al regime la circostanza che il contribuente partecipi contemporaneamente all'esercizio dell'attività a società di persone, associazioni o a imprese familiari di cui all'art. 5 del TUIR.
Parimenti, costituisce causa ostativa il controllo, diretto o indiretto, di società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione, le quali esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dal contribuente che aspira ad accedere al regime agevolato.
La motivazione dell’interpello risiede nella considerazione (a parere di chi scrive condivisibile) che la società dichiarata fallita non esercita alcun tipo di attività; verrebbe quindi meno la ratio che ha portato il legislatore ad introdurre le limitazioni previste dalla lettera d) del comma 57 , volte ad evitare una artificiosa frammentazione del reddito.
Di tesi opposta l’Agenzia delle Entrate, e ciò non solo in ragione del fatto che la norma non preveda alcuna eccezione, il che già sarebbe sufficiente a rendere scontata la risposta al quesito, bensì sulla scorta di un ragionamento più approfondito.
Posto che la dichiarazione di fallimento della società non preclude, di per sé, la possibilità che al socio venga riconosciuto un reddito di partecipazione, che può derivare dall’esercizio provvisorio dell’impresa o, a chiusura del procedimento, dal riparto di un eventuale residuo attivo, viene ad essere rispettato il quadro di insieme che prevede l’impossibilità che reddito determinato con criteri forfettari e reddito da partecipazione coesistano.
In sintesi, il socio che detiene partecipazione in società fallita non può accedere al regime forfettario, indipendentemente dal fatto che tale società sia inattiva.
Regime forfetario e imposta di bollo addebitata in fattura
La risposta ad interpello n. 428/2022 potrebbe rappresentare la pietra tombale, tutt’altro che gradita, su una questione che si trascina da anni, ovvero la corretta gestione dell’imposta di bollo dovuta dai contribuenti in regime forfetario sulle fatture di ammontare superiore ad euro a 77,47, laddove il bollo, che ricordiamo è pari a 2 euro, sia oggetto di riaddebito al cliente.
A parere dell’Agenzia delle Entrate l’imposta di bollo addebitata in fattura deve essere considerata quale ricavo / compenso per il contribuente emittente il documento in regime forfettario.
A questa conclusione l’Agenzia stessa arriva preliminarmente ricordando che l'art. 22 del D.P.R. n. 642/1972 stabilisce la solidarietà nel debito relativo all’imposta di bollo in capo all'emittente la fattura e al committente. Proprio sulla scorta di questa “solidarietà”, è da sempre interpretazione diffusa che laddove l’imposta di bollo gravi di fatto sul cliente finale a seguito di riaddebito, allora dal punto di vista dell’emittente della fattura / parcella (il forfettario) si tratti di una anticipazione, irrilevante a fini reddituali.
Di parere radicalmente opposto l’Agenzia delle Entrate, che sul punto richiama anche la precedente risposta ad interpello n. 67 del 2020 , nella quale già era stato evidenziato il fatto che l'obbligo di apporre il contrassegno sulle fatture o sulle ricevute è comunque a carico del soggetto che consegna o spedisce il documento, in quanto per tali tipo di atti l'imposta di bollo è dovuta fin dall'origine, ossia dal momento della formazione.
Posto che l’imposta di bollo resta, in via principale, a carico del soggetto che emette la fattura / parcella, l’Agenzia conclude che nel caso in cui tale imposta venga rimborsata dal cliente finale, allora tale ammontare diviene parte integrante del ricavo / compenso del contribuente in regime forfetario.
Le implicazioni di questa interpretazione sono molteplici. Innanzi tutto, viene di fatto stabilito che l’imposta di bollo concorra alla determinazione del reddito imponibile, ovvero “imposizione su imposizione”, il che lascia francamente perplessi.
Volendo comunque abbracciare tale tesi, ciò significherebbe che coloro i quali non hanno considerato l’imposta di bollo tra i componenti positivi esposti nel quadro LM dovrebbero rideterminare i quadri reddituali, con conseguenze a cascata anche su tutti i correlati aspetti previdenziali.
Inoltre, se il riaddebito del bollo deve essere considerato “ricavo / compenso”, allora non è corretta l’indicazione in fattura a titolo di anticipazione ex art. 15 del decreto IVA. Di fatto i “due euro” altro non sarebbero che un’ulteriore riga di dettaglio dei ricavi / compensi richiesti in pagamento, e quindi operazione fuori campo IVA in ragione del regime forfetario (codice Natura IVA N2.2); la qualifica di “compenso”, inoltre, lascerebbe presupporre che il bollo riaddebitato costituisca anche base di calcolo per l’eventuale rivalsa INPS Gestione Separata, oltre che per l’obbligatorio addebito del contributo integrativo da parte dei professionisti iscritti alle Casse di Previdenza.
Complicazioni si intravedono anche sul fronte della Certificazione Unica, poiché anche in questo caso la quota riferibile al bollo non sarebbe correttamente indicata se qualificata quale “anticipazioni”, dovendo concorrere ai compensi.
In estrema sintesi, la risposta ad interpello n. 428/2022 lascia più di una perplessità e, seppure le somme in gioco siano spesso di ammontare irrilevante, tanto da rendere forse poco conveniente una rettifica per quanto già consolidato, ovvero le dichiarazioni dei redditi del 2021 e precedenti, d’altro canto, d’ora innanzi, le indicazioni dovranno essere prese in considerazione e, forse, la soluzione più semplice sarà quella di non procedere all’addebito, a scanso di equivoci.
Certo è che, per quanto riguarda il passato, non ci si può che augurare di non essere incappati nello sfortunato caso in cui i “due euro” per ciascuna fattura, eventualmente ignorati ai fini reddituali, risultassero determinanti per il superamento dei limiti previsti per la permanenza nel regime, ovvero 65mila euro di ricavi / compensi, oppure per il superamento dei 25.000 euro di ricavi / compensi nell’esercizio 2021 a seguito del quale è scattato l’obbligo di fatturazione elettronica dal 1° luglio 2022.
Riferimenti normativi:
Regime forfetario: nuove indicazioni del Fisco su cause ostative e rilevanza del bollo addebitato al cliente
di Sandra Pennacini | 26 Agosto 2022
Non c’è pace per i contribuenti in regime forfetario, nemmeno nel bel mezzo dell’estate. In data 12 agosto 2022, infatti, sono state pubblicate due risposte ad interpello, la n. 422/2022 e la n. 428/2022 , dedicate ai contribuenti in regime agevolato ex art. 1, commi da 54 a 89 , della legge n. 190 del 2014, l’una dedicata alle cause ostative, non particolarmente sorprendente, l’altra relativa alla rilevanza del riaddebito dell’imposta di bollo ai fini reddituali, le cui conseguenze sono da non sottovalutare.
Premessa
Le risposte ad interpello esaminate nel seguito vanno ad aggiungersi ad una ormai enorme produzione di prassi dedicata al regime forfetario. Si tratta di una circostanza che merita rilievo, posto che il regime agevolato è nato, teoricamente, con l’intento non solo di applicare una “tassa piatta”, tornata in questi giorni di campagna elettorale prepotentemente di attualità, ma anche con l’intenzione di semplificare al massimo gli adempimenti, proprio in ragione della ridotta dimensione dei contribuenti destinatari del regime stesso.
Quest’ultimo obiettivo, sfortunatamente, complici continue novità normative e interpretazioni, non può certamente considerarsi centrato, tanto che, dopo anni di applicazione, ci si ritrova ancora con dubbi e perplessità, che riguardano non solo casi particolari, come quello affrontato nella risposta ad interpello n. 422/2022 in materia di detenzione di partecipazione in società di persone fallita, ma anche fattispecie che riguardano la stragrande maggioranza dei contribuenti, ovvero il corretto trattamento ai fini impositivi dell’imposta di bollo riaddebitata al cliente, oggetto della risposta ad interpello n. 428/2022 .
Di seguito vengono analizzati i tratti salienti delle recenti interpretazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate in risposta ai quesiti posti dai contribuenti.
Accesso al regime forfetario e partecipazione in società fallita
La risposta ad interpello n. 422/2022 interviene a fornire chiarimenti in ordine alla possibilità di accedere al regime forfetario, fermo restando il rispetto dei diversi requisiti richiesti, per un contribuente che detiene una partecipazione in società di persone dichiarata fallita.
Come noto, la lettera d) del comma 57 dell’art. 1 , legge n. 190/2014, prevede che costituisca causa ostativa per l’accesso al regime la circostanza che il contribuente partecipi contemporaneamente all'esercizio dell'attività a società di persone, associazioni o a imprese familiari di cui all'art. 5 del TUIR.
Parimenti, costituisce causa ostativa il controllo, diretto o indiretto, di società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione, le quali esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dal contribuente che aspira ad accedere al regime agevolato.
La motivazione dell’interpello risiede nella considerazione (a parere di chi scrive condivisibile) che la società dichiarata fallita non esercita alcun tipo di attività; verrebbe quindi meno la ratio che ha portato il legislatore ad introdurre le limitazioni previste dalla lettera d) del comma 57 , volte ad evitare una artificiosa frammentazione del reddito.
Di tesi opposta l’Agenzia delle Entrate, e ciò non solo in ragione del fatto che la norma non preveda alcuna eccezione, il che già sarebbe sufficiente a rendere scontata la risposta al quesito, bensì sulla scorta di un ragionamento più approfondito.
Posto che la dichiarazione di fallimento della società non preclude, di per sé, la possibilità che al socio venga riconosciuto un reddito di partecipazione, che può derivare dall’esercizio provvisorio dell’impresa o, a chiusura del procedimento, dal riparto di un eventuale residuo attivo, viene ad essere rispettato il quadro di insieme che prevede l’impossibilità che reddito determinato con criteri forfettari e reddito da partecipazione coesistano.
In sintesi, il socio che detiene partecipazione in società fallita non può accedere al regime forfettario, indipendentemente dal fatto che tale società sia inattiva.
Regime forfetario e imposta di bollo addebitata in fattura
La risposta ad interpello n. 428/2022 potrebbe rappresentare la pietra tombale, tutt’altro che gradita, su una questione che si trascina da anni, ovvero la corretta gestione dell’imposta di bollo dovuta dai contribuenti in regime forfetario sulle fatture di ammontare superiore ad euro a 77,47, laddove il bollo, che ricordiamo è pari a 2 euro, sia oggetto di riaddebito al cliente.
A parere dell’Agenzia delle Entrate l’imposta di bollo addebitata in fattura deve essere considerata quale ricavo / compenso per il contribuente emittente il documento in regime forfettario.
A questa conclusione l’Agenzia stessa arriva preliminarmente ricordando che l'art. 22 del D.P.R. n. 642/1972 stabilisce la solidarietà nel debito relativo all’imposta di bollo in capo all'emittente la fattura e al committente. Proprio sulla scorta di questa “solidarietà”, è da sempre interpretazione diffusa che laddove l’imposta di bollo gravi di fatto sul cliente finale a seguito di riaddebito, allora dal punto di vista dell’emittente della fattura / parcella (il forfettario) si tratti di una anticipazione, irrilevante a fini reddituali.
Di parere radicalmente opposto l’Agenzia delle Entrate, che sul punto richiama anche la precedente risposta ad interpello n. 67 del 2020 , nella quale già era stato evidenziato il fatto che l'obbligo di apporre il contrassegno sulle fatture o sulle ricevute è comunque a carico del soggetto che consegna o spedisce il documento, in quanto per tali tipo di atti l'imposta di bollo è dovuta fin dall'origine, ossia dal momento della formazione.
Posto che l’imposta di bollo resta, in via principale, a carico del soggetto che emette la fattura / parcella, l’Agenzia conclude che nel caso in cui tale imposta venga rimborsata dal cliente finale, allora tale ammontare diviene parte integrante del ricavo / compenso del contribuente in regime forfetario.
Le implicazioni di questa interpretazione sono molteplici. Innanzi tutto, viene di fatto stabilito che l’imposta di bollo concorra alla determinazione del reddito imponibile, ovvero “imposizione su imposizione”, il che lascia francamente perplessi.
Volendo comunque abbracciare tale tesi, ciò significherebbe che coloro i quali non hanno considerato l’imposta di bollo tra i componenti positivi esposti nel quadro LM dovrebbero rideterminare i quadri reddituali, con conseguenze a cascata anche su tutti i correlati aspetti previdenziali.
Inoltre, se il riaddebito del bollo deve essere considerato “ricavo / compenso”, allora non è corretta l’indicazione in fattura a titolo di anticipazione ex art. 15 del decreto IVA. Di fatto i “due euro” altro non sarebbero che un’ulteriore riga di dettaglio dei ricavi / compensi richiesti in pagamento, e quindi operazione fuori campo IVA in ragione del regime forfetario (codice Natura IVA N2.2); la qualifica di “compenso”, inoltre, lascerebbe presupporre che il bollo riaddebitato costituisca anche base di calcolo per l’eventuale rivalsa INPS Gestione Separata, oltre che per l’obbligatorio addebito del contributo integrativo da parte dei professionisti iscritti alle Casse di Previdenza.
Complicazioni si intravedono anche sul fronte della Certificazione Unica, poiché anche in questo caso la quota riferibile al bollo non sarebbe correttamente indicata se qualificata quale “anticipazioni”, dovendo concorrere ai compensi.
In estrema sintesi, la risposta ad interpello n. 428/2022 lascia più di una perplessità e, seppure le somme in gioco siano spesso di ammontare irrilevante, tanto da rendere forse poco conveniente una rettifica per quanto già consolidato, ovvero le dichiarazioni dei redditi del 2021 e precedenti, d’altro canto, d’ora innanzi, le indicazioni dovranno essere prese in considerazione e, forse, la soluzione più semplice sarà quella di non procedere all’addebito, a scanso di equivoci.
Certo è che, per quanto riguarda il passato, non ci si può che augurare di non essere incappati nello sfortunato caso in cui i “due euro” per ciascuna fattura, eventualmente ignorati ai fini reddituali, risultassero determinanti per il superamento dei limiti previsti per la permanenza nel regime, ovvero 65mila euro di ricavi / compensi, oppure per il superamento dei 25.000 euro di ricavi / compensi nell’esercizio 2021 a seguito del quale è scattato l’obbligo di fatturazione elettronica dal 1° luglio 2022.
Riferimenti normativi:
Sullo stesso argomento:Imposta di bolloRegime forfetario
Quali sono le motivazioni che hanno portato il legislatore a introdurre il regime forfettario?
Il regime forfettario è stato introdotto con l’intento di applicare una "tassa piatta" e semplificare al massimo gli adempimenti per i contribuenti di piccole dimensioni.
Per quale motivo un contribuente che detiene una partecipazione in società fallita non può accedere al regime forfettario?
Un contribuente che detiene una partecipazione in società fallita non può accedere al regime forfettario in quanto tale situazione non rispetta i requisiti richiesti e non è compatibile con l'obiettivo di evitare una artificiosa frammentazione del reddito.
Quali sono le implicazioni dell'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate riguardo all'imposta di bollo addebitata in fattura ai fini reddituali?
Secondo l'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate, l'imposta di bollo addebitata in fattura deve essere considerata parte integrante del ricavo/compensato del contribuente in regime forfettario e concorre alla determinazione del reddito imponibile. Questa interpretazione comporta alcune complicazioni sul piano contabile e fiscale, come l'adeguamento dei quadri reddituali e le implicazioni sulla fatturazione e la Certificazione Unica.
Quali eventuali misure potrebbero adottare i contribuenti in regime forfettario data questa interpretazione?
Considerando le implicazioni dell'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate, i contribuenti in regime forfettario potrebbero valutare l'opportunità di non procedere all'addebito dell'imposta di bollo per evitare complicazioni contabili e fiscali. Inoltre, potrebbero essere necessarie rettifiche delle dichiarazioni dei redditi precedenti per adeguarsi a questa nuova interpretazione.
Quali sono i riferimenti normativi relativi al regime forfettario e alle risposte ad interpello dell'Agenzia delle Entrate?
I riferimenti normativi relativi al regime forfettario e alle risposte ad interpello dell'Agenzia delle Entrate sono la Legge 23 dicembre 2014 n. 190, art. 1, commi da 54 a 89 e le Risposte ad istanza di interpello 12 agosto 2022, n. 422 e n. 428.