Il fatto
Il contribuente presentava all’Agenzia delle entrate istanza di rimborso del credito IVA, relativo all’anno d’imposta 2008, per cessazione dell’attività. L’Amministrazione finanziaria non riconosceva il diritto al rimborso, motivando il diniego con l’assunto che l’attività imprenditoriale del contribuente continuava in seno ad una società conferitaria dell’azienda cessata, di cui il contribuente risultava essere socio.
Avverso il rigetto del ricorso da parte della Commissione tributaria provinciale di Pavia, la CTR della Lombardia accoglie l’appello del contribuente, rilevando in particolare che:
- pur configurandosi l’azienda come una universalità di beni funzionale allo svolgimento di un’attività produttiva, in caso di cessione della stessa, è possibile espungere dal novero dei beni che la compongono determinati asset, a condizione che ciò non comprometta la funzionalità della stessa;
- il contribuente aveva estromesso dal conferimento il suddetto credito IVA e tale limitazione non comprometteva in alcun modo l’efficienza dell’impresa stessa;
- in conclusione, pertanto, era da considerarsi legittima la richiesta del rimborso IVA da parte del contribuente.
L’Agenzia delle entrate ricorreva per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, presentando come unico motivo di legittimità la violazione dell’art. 30 del D.P.R. n. 633/1972, in particolare al primo comma, ove è previsto il diritto al rimborso in caso di cessazione dell’attività. Infatti, secondo l’Amministrazione finanziaria, se pure formalmente cessata la ditta individuale, l’attività imprenditoriale continuava in capo alla società a responsabilità limitata conferitaria di cui il contribuente è socio di capitale. In tale fattispecie, non si configurerebbe alcuna estinzione, ma soltanto una modifica del soggetto imprenditoriale.
La decisione della Cassazione
Nell’ipotesi di conferimento d’azienda, la dottrina consolidata distingue due visioni contrapposte del fenomeno. Da un lato, la tesi “realizzativa”, la quale, ponendo l’accento sul momento traslativo della proprietà dei singoli beni, qualifica il conferimento in azienda già funzionante come una cessione a titolo oneroso dei singoli beni, con interruzione del precedente soggetto giuridico, a cui viene riconosciuto il prezzo della cessione, costituito dalla partecipazione societaria. Tale ricostruzione è stata criticata da parte della dottrina, che avvalora, invece, la natura dell’operazione come “associativa”, in virtù della quale il conferimento d’azienda non recide del tutto il legame tra il conferente e l’azienda conferita, come avviene invece nella cessione vera e propria. In seguito all’apporto alla conferitaria ed alla “mutazione” della situazione giuridica di appartenenza dei beni conferiti, si assisterebbe ad un passaggio da un regime di sfruttamento individuale dei beni aziendali ad uno collettivo. Il collegamento tra il conferente e l’azienda continua in virtù della partecipazione a lui attribuita. Tale visione ben si concilia con le norme codicistiche di cui all’art. 2559 c.c., in virtù del quale si ha successione nei crediti per effetto della cessione.
La Corte di cassazione, nelle precedenti sentenze in materia, ha assunto una visione del fenomeno di tipo “associativo”, per effetto della quale le situazioni giuridiche della conferente si trasferiscono al conferitario, salvo diversa statuizione tra le parti. Tuttavia, come fatto notare dalla stessa Corte nell’ord. 5 luglio 2019, n. 18143, di cui stiamo qui discutendo, si trattava di ipotesi diverse ed in particolare di casi in cui la cessione dell’azienda comprendeva anche la cessione del credito IVA. In questi casi, l’orientamento della Corte è indiscutibile: “in base agli ordinari canoni civilistici, con il conferimento si trasferisce l'azienda con tutti i suoi elementi attivi e passivi ed il soggetto conferitario succede a titolo universale nei rapporti giuridici già facenti capo all'azienda conferita” (Cass., ord. 1° agosto 2018, n. 20415). Ed ancora: “il conferimento di un'azienda individuale in una società di persone o di capitali costituisce una cessione d'azienda, la quale comporta per legge la cessione dei crediti relativi all'esercizio di essa, ivi compresi i crediti d'imposta vantati dal cedente nei confronti dell'Erario; conseguentemente, per effetto della cessione, il cedente medesimo è privo di legittimazione a domandare all'Erario il rimborso dell'IVA pagata in eccedenza” (Cass. civ., Sez. V, sent. 9 aprile 2009, n. 8644).
Dunque, nelle ipotesi in cui non ci sia una esplicita esclusione del credito IVA oggetto di conferimento, questo si considera trasferito in capo alla conferitaria al pari di tutti gli altri beni ed il conferente non può chiederne rimborso all’Erario.
Tuttavia, ciò non esclude che, per esplicita pattuizione delle parti, il credito IVA possa essere escluso dal novero dei beni ceduti. Infatti, i giudici di piazza Cavour rilevano che:
“Se, in linea di principio, con la cessione dell'azienda e il suo conferimento dal conferente in altro soggetto imprenditoriale (conferitario) vengono ceduti al conferitario anche i crediti, portati in dote dal contratto di cessione dell'azienda, tra cui i crediti d’imposta, con conseguente difetto di legittimazione attiva del conferente a fare valere nei confronti dell'Erario il rimborso dell'IVA pagata in eccedenza, è possibile che dall'azienda conferita vengano scorporati, sulla base degli accordi intercorsi tra le parti, alcuni cespiti (che, pertanto, rimangono in capo al cedente), purché non intacchino la finalità produttiva dell'azienda ceduta”.
La Cassazione ritiene che l’esclusione del credito IVA dall’azienda ceduta, con conseguente diritto del conferente a richiederne il rimborso, sia possibile, in quanto il credito erariale non si configura come un bene strumentale all’esercizio dell’attività. L’azienda, infatti, è considerata un coacervo di beni tra loro coordinati e funzionali all’esercizio di un’attività produttiva e sicuramente può continuare ad operare perfettamente anche in mancanza di un attivo (il credito IVA) che non ha alcuna utilità funzionale nel processo produttivo aziendale.
L’operazione di conferimento per come è stata strutturata costituisce una fattispecie realizzativa, con estinzione del precedente soggetto giuridico ed esclusione esplicita del passaggio del credito IVA. Di conseguenza, resta in capo al conferente il diritto al rimborso del credito vantato verso l’Erario. Tra l’altro, fa notare la Cassazione, non è stato oggetto di impugnazione né la circostanza che l’impresa individuale fosse cessata né che il credito IVA fosse stato oggetto di conferimento.
Da ultimo, nelle proprie memorie, il conferente fa notare come, se il diritto al rimborso non fosse da lui esercitato, non potrebbe esserlo da parte di nessun altro, posto che il conferitario non ha acquisito tale credito e quindi sarebbe privo anch’egli del diritto a chiederne il rimborso.
Conclusione
In conclusione, è possibile delineare un orientamento generale. Il conferimento d’azienda ha come effetto la successione nei rapporti giuridici dal conferente al conferitario. Pur tuttavia, se esplicitamente indicato nella relazione di stima allegata ex art. 2465 c.c., sarà possibile estromettere dal conferimento quei beni che non si considerano funzionali all’attività dell’impresa unitariamente considerata.
Nel caso dei crediti erariali, resta in capo al conferente il diritto alla richiesta di rimborso, se questi sono stati esclusi dall’operazione.
Riferimenti normativi:
Corte di cassazione: sì al rimborso del credito IVA escluso dal conferimento d’azienda
di Daniele De Mita - AIDC Foggia | 4 Settembre 2019
La Cassazione, con l'ord. 5 luglio 2019, n. 18143, ritiene ammissibile la richiesta del rimborso del credito IVA da parte dell’imprenditore che cessa l’impresa individuale per conferimento in società a responsabilità limitata di cui è socio. Secondo la Suprema Corte, infatti, se pure il conferimento d’azienda comporti la successione nei rapporti giuridici dal conferente al conferitario, è pure possibile espungere dal complesso dei beni aziendali alcuni cespiti, a condizione che non venga compromessa la funzionalità produttiva dell’azienda stessa.
Il fatto
Il contribuente presentava all’Agenzia delle entrate istanza di rimborso del credito IVA, relativo all’anno d’imposta 2008, per cessazione dell’attività. L’Amministrazione finanziaria non riconosceva il diritto al rimborso, motivando il diniego con l’assunto che l’attività imprenditoriale del contribuente continuava in seno ad una società conferitaria dell’azienda cessata, di cui il contribuente risultava essere socio.
Avverso il rigetto del ricorso da parte della Commissione tributaria provinciale di Pavia, la CTR della Lombardia accoglie l’appello del contribuente, rilevando in particolare che:
L’Agenzia delle entrate ricorreva per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, presentando come unico motivo di legittimità la violazione dell’art. 30 del D.P.R. n. 633/1972, in particolare al primo comma, ove è previsto il diritto al rimborso in caso di cessazione dell’attività. Infatti, secondo l’Amministrazione finanziaria, se pure formalmente cessata la ditta individuale, l’attività imprenditoriale continuava in capo alla società a responsabilità limitata conferitaria di cui il contribuente è socio di capitale. In tale fattispecie, non si configurerebbe alcuna estinzione, ma soltanto una modifica del soggetto imprenditoriale.
La decisione della Cassazione
Nell’ipotesi di conferimento d’azienda, la dottrina consolidata distingue due visioni contrapposte del fenomeno. Da un lato, la tesi “realizzativa”, la quale, ponendo l’accento sul momento traslativo della proprietà dei singoli beni, qualifica il conferimento in azienda già funzionante come una cessione a titolo oneroso dei singoli beni, con interruzione del precedente soggetto giuridico, a cui viene riconosciuto il prezzo della cessione, costituito dalla partecipazione societaria. Tale ricostruzione è stata criticata da parte della dottrina, che avvalora, invece, la natura dell’operazione come “associativa”, in virtù della quale il conferimento d’azienda non recide del tutto il legame tra il conferente e l’azienda conferita, come avviene invece nella cessione vera e propria. In seguito all’apporto alla conferitaria ed alla “mutazione” della situazione giuridica di appartenenza dei beni conferiti, si assisterebbe ad un passaggio da un regime di sfruttamento individuale dei beni aziendali ad uno collettivo. Il collegamento tra il conferente e l’azienda continua in virtù della partecipazione a lui attribuita. Tale visione ben si concilia con le norme codicistiche di cui all’art. 2559 c.c., in virtù del quale si ha successione nei crediti per effetto della cessione.
La Corte di cassazione, nelle precedenti sentenze in materia, ha assunto una visione del fenomeno di tipo “associativo”, per effetto della quale le situazioni giuridiche della conferente si trasferiscono al conferitario, salvo diversa statuizione tra le parti. Tuttavia, come fatto notare dalla stessa Corte nell’ord. 5 luglio 2019, n. 18143, di cui stiamo qui discutendo, si trattava di ipotesi diverse ed in particolare di casi in cui la cessione dell’azienda comprendeva anche la cessione del credito IVA. In questi casi, l’orientamento della Corte è indiscutibile: “in base agli ordinari canoni civilistici, con il conferimento si trasferisce l'azienda con tutti i suoi elementi attivi e passivi ed il soggetto conferitario succede a titolo universale nei rapporti giuridici già facenti capo all'azienda conferita” (Cass., ord. 1° agosto 2018, n. 20415). Ed ancora: “il conferimento di un'azienda individuale in una società di persone o di capitali costituisce una cessione d'azienda, la quale comporta per legge la cessione dei crediti relativi all'esercizio di essa, ivi compresi i crediti d'imposta vantati dal cedente nei confronti dell'Erario; conseguentemente, per effetto della cessione, il cedente medesimo è privo di legittimazione a domandare all'Erario il rimborso dell'IVA pagata in eccedenza” (Cass. civ., Sez. V, sent. 9 aprile 2009, n. 8644).
Dunque, nelle ipotesi in cui non ci sia una esplicita esclusione del credito IVA oggetto di conferimento, questo si considera trasferito in capo alla conferitaria al pari di tutti gli altri beni ed il conferente non può chiederne rimborso all’Erario.
Tuttavia, ciò non esclude che, per esplicita pattuizione delle parti, il credito IVA possa essere escluso dal novero dei beni ceduti. Infatti, i giudici di piazza Cavour rilevano che:
“Se, in linea di principio, con la cessione dell'azienda e il suo conferimento dal conferente in altro soggetto imprenditoriale (conferitario) vengono ceduti al conferitario anche i crediti, portati in dote dal contratto di cessione dell'azienda, tra cui i crediti d’imposta, con conseguente difetto di legittimazione attiva del conferente a fare valere nei confronti dell'Erario il rimborso dell'IVA pagata in eccedenza, è possibile che dall'azienda conferita vengano scorporati, sulla base degli accordi intercorsi tra le parti, alcuni cespiti (che, pertanto, rimangono in capo al cedente), purché non intacchino la finalità produttiva dell'azienda ceduta”.
La Cassazione ritiene che l’esclusione del credito IVA dall’azienda ceduta, con conseguente diritto del conferente a richiederne il rimborso, sia possibile, in quanto il credito erariale non si configura come un bene strumentale all’esercizio dell’attività. L’azienda, infatti, è considerata un coacervo di beni tra loro coordinati e funzionali all’esercizio di un’attività produttiva e sicuramente può continuare ad operare perfettamente anche in mancanza di un attivo (il credito IVA) che non ha alcuna utilità funzionale nel processo produttivo aziendale.
L’operazione di conferimento per come è stata strutturata costituisce una fattispecie realizzativa, con estinzione del precedente soggetto giuridico ed esclusione esplicita del passaggio del credito IVA. Di conseguenza, resta in capo al conferente il diritto al rimborso del credito vantato verso l’Erario. Tra l’altro, fa notare la Cassazione, non è stato oggetto di impugnazione né la circostanza che l’impresa individuale fosse cessata né che il credito IVA fosse stato oggetto di conferimento.
Da ultimo, nelle proprie memorie, il conferente fa notare come, se il diritto al rimborso non fosse da lui esercitato, non potrebbe esserlo da parte di nessun altro, posto che il conferitario non ha acquisito tale credito e quindi sarebbe privo anch’egli del diritto a chiederne il rimborso.
Conclusione
In conclusione, è possibile delineare un orientamento generale. Il conferimento d’azienda ha come effetto la successione nei rapporti giuridici dal conferente al conferitario. Pur tuttavia, se esplicitamente indicato nella relazione di stima allegata ex art. 2465 c.c., sarà possibile estromettere dal conferimento quei beni che non si considerano funzionali all’attività dell’impresa unitariamente considerata.
Nel caso dei crediti erariali, resta in capo al conferente il diritto alla richiesta di rimborso, se questi sono stati esclusi dall’operazione.
Riferimenti normativi:
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