
Il Fatto
Alcuni lavoratori impugnavano la sospensione dall'attività lavorativa e dalla retribuzione, con conseguente assenza ingiustificata, disposta dal datore di lavoro per il loro rifiuto di sottoporsi al vaccino obbligatorio contro il SARS-CoV-2.
Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettavano la domanda e I lavoratori ricorrevano per Cassazione.
Il Diritto
La corte ricorda che è dalla scelta personale di non conseguire la certificazione vaccinale (cioè di non sottoporsi a vaccino) che deriva, come conseguenza prevista dalla legge, la mancata corresponsione della retribuzione o di altri emolumenti a causa dell'omesso svolgimento della funzione, con ciò bilanciando il diritto individuale all’autodeterminazione e la tutela generale della salute pubblica.
La corte osserva poi che la mancata corresponsione della retribuzione non era una sanzione discriminatoria, ma l'effetto della sospensione del sinallagma contrattuale dovuta alla temporanea impossibilità del dipendente di svolgere le mansioni per carenza di un requisito sanitario essenziale. Il datore di lavoro, in tale ipotesi, non versa in mora credendi.
La corte pertanto rigetta il ricorso.

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