Il Fatto
Un lavoratore adiva il Tribunale per far accertare accertarsi il proprio diritto ad usufruire del servizio mensa, nella modalità alternativa del buono pasto.
La Corte d’Appello in riforma della sentenza di primo grado accoglieva parzialmente la domanda, ritenendola per una parte prescritta.
Il datore di lavoro ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte ricorda che In tema di pubblico impiego privatizzato, l'attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell'ambito dell'organizzazione dell'ambiente di lavoro, è diretta a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l'attività lavorativa quando l'orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all'effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato.
La corte osserva poi che la natura assistenziale del riconoscimento del buono pasto ed il suo connettersi alla tutela del benessere psicofisico dei lavoratori - e quindi alla salute dei medesimi - conduce invece alla logica conseguenza per cui il mancato riconoscimento del diritto alla pausa per il pasto ed al meccanismo sostitutivo del relativo buono si traduce in una forma di incidenza sulla salute dei lavoratori, determinando quindi quella che va qualificata come pretesa risarcitoria per violazione dell’art. 2087 c.c.
La corte pertanto rigetta il ricorso.
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